A quasi sessant’anni dal primo delitto compiuto dal famigerato Mostro di Firenze, il regista Stefano Sollima presenta sulla piattaforma Netflix la sua nuova miniserie dedicata al criminale, ripercorrendo tra le campagne del capoluogo toscano le indagini svolte all’epoca dal Pubblico Ministero.
Una serie che si pone in primis di distaccarsi da quanto visto in passato per percorrere una strada meno nota, quella battuta inizialmente dal Sostituto Procuratore Silvia Della Monica, rintracciando attraverso una possibile deduzione il clima all’interno di varie famiglie povere di origine sarde, lì dove il male prendeva la forma del capofamiglia assicurando il suo volere sulle persone più fragili e indifese, ovvero le donne.
Una miniserie che non punta a trovare il colpevole – in quanto esso stesso non è mai stato rintracciato – ma tenta per mezzo di ipotesi realmente inseguite di capire e di delineare il profilo psicologico del serial killer, partendo proprio dalla sua (possibile) avversione nei confronti del gentil sesso.
L’articolo contiene SPOILER, si consiglia di procedere alla lettura solo dopo aver visionato la serie tv.
Il mostro, cosa viene raccontato?
Il mostro (qui per leggere la nostra recensione) si articola in quattro lunghi e intensi episodi, ognuno della quale si apre sotto il profilo di un uomo particolare: dapprima si delinea il ritratto di Stefano Mele (Marco Bullitta), marito di Barbara Locci (Francesca Olia), in cui corpo senza vita viene ritrovato nel lontano 1968 all’interno di un’automobile assieme al suo amante.
È una pista sarda quella che si rincorre senza sosta, in particolare di un coniuge sopraffatto dal volere della propria famiglia d’origine e incapace di prendere posizione per il bene della propria compagna. Una vicenda che si sposta in seguito sull’accusa rivolta a uno degli amanti della donna, tale Francesco Vinci (Giacomo Fadda), reo di aver potuto ucciderla in quanto geloso della fama che si era creata attorno alla sua figura – definita dagli abitanti una donnaccia per le varie scappatelle – per proseguire su Giovanni Mele (Antonio Tintis), fratello del primo indagato e riconosciuto da una signora come possibile Mostro di Firenze in quanto aveva tentato un approccio inquietante e spaventoso con quest’ultima.
L’ultima figura indagata è quella più emblematica, Salvatore Vinci (Valentino Mannias), uomo ospitato per un certo periodo nella casa dei Mele e ritenuto l’aggressore sessuale della Locci.

Il mostro, come finisce?
L’ultimo episodio si concentra sul personaggio di Salvatore Vinci dove, tra passato e presente, si cerca di ricostruirne la sua storia. Se il suo trascorso viene dipinto come violento in quanto – a causa delle malevole voci del paese – viene ritenuto omosessuale e quindi costretto dal padre a trovarsi a tutti i costi una donna con il quale costruire una famiglia (adoperando anche la violenza se necessario), nel presente la rabbia e la ferocia in lui insita sfociano in continue aggressioni – anche di natura sessuale – nei confronti delle donne, in particolare su Barbara Locci che scopre la tresca tra il marito e quest’ultimo.
Dopo una testimonianza da parte della sua ex seconda moglie, la quale conferma il complicato rapporto con il coniuge a causa del clima di terrore con il quale conviveva e sospettando che esso possa essere l’autore della morte della sua prima moglie, Salvatore viene arrestato e processato.
In mancanza di prove che possano provare la sua colpevolezza – seguite da un ritiro delle accuse da parte di Stefano che indicava l’uomo come il vero autore del delitto nei confronti della propria compagna – il protagonista viene scarcerato per scomparire nel 1988 senza lasciare più sue tracce. Assieme a lui anche i delitti del Mostro di Firenze cessano di esistere, portando a riflettere se si tratta di una semplice coincidenza o se le due personalità sono in realtà la stessa persona.

La spiegazione del finale de Il mostro
Quanto narrato nella miniserie è quanto di più vicino ci sia alla realtà dei fatti. Per la stesura della sceneggiatura il cineasta Sollima ha consultato verbali, testimonianze, interviste dell’epoca senza tralasciare nessun dettaglio. Quello da lui percorso è un’esplorazione non solo dei delitti commessi dal Mostro di Firenze ma anche – e soprattutto – un’indagine approfondita sulla cultura maschilista e sul ruolo della donna, relegata come casalinga e vittima di continue violenze fisiche e verbali.
Tra un pizzico di fiction e l’ombra della verità la serie televisiva punta i riflettori solo ed esclusivamente su quattro personaggi sardi, le cui identità svelano un passato ingombrante e brutale. È la volontà di portare alla luce personaggi dimenticati e/o mai passati sotto i riflettori, uno spazio e un tempo rimasti a lungo sotto l’ala del terrore di un mostro che si aggirava di notte nelle campagne toscane. Voyerismo, guardoni attrezzati per spiare giovani coppie innamorate nelle loro automobili sono solo la punta dell’iceberg raccontato con una certa freddezza da Sollima, che non risparmia l’ipocrisia e l’ignoranza della nostra terra.
Quattro indagini e quattro losche figure portano a un epilogo deludente: nessuno di loro è ritenuto il Mostro di Firenze, con l’unica eccezione di Stefano Mele che figura come l’unico reale colpevole dell’assassino della moglie. Sono numerosi i misteri che puntano a creare una sorta di suspense, portando lo stesso spettatore a chiedersi come tali avvenimenti possano intersecarsi con altri: l’omicidio del 1968 e quegli degli anni successivi sono a opera della stessa persona? È stata sempre usata la stessa arma? Come ha fatto Natalino Mele (unico testimone diretto del primo omicidio) a percorrere due chilometri per cercare aiuto? Nasconde anche lui la triste realtà dei fatti?
Sollima non punta a rispondere a tali quesiti ma, con un colpo di scena, a pochi minuti dall’epilogo svela il personaggio di Pietro Pacciani, figura bizzarra con un passato criminale alle spalle e considerato da un vicino di casa un possibile sospettato. La seconda – e possibile – stagione si aprirà con il racconto dei famosi “compagni di merende”?
