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Bugonia: cosa significa il titolo e perché è importante per il film

Se guardando Bugonia vi siete chiesti cosa significhi il titolo, non preoccupatevi: ecco quello che dovete sapere a riguardo.

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Una scena dal film, Bugonia.

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Il regista Yorgos Lanthimos è tornato al cinema con il film Bugonia (2024), che conferma la sua ossessione per l’assurdo, l’allegorico e il fragile equilibrio tra umano e disumano. Come sempre, al centro del racconto c'è un gruppo di personaggi intrappolati in un microcosmo chiuso, dove il linguaggio, il potere e l’istinto si mescolano fino a confondersi.

Ma ancora prima della trama, a colpire è il titolo stesso del film: Bugonia. Un termine misterioso, antico, dal suono quasi rituale. Non si tratta di un’invenzione del regista, ma un riferimento preciso alla mitologia e alla cultura classica: la bugonia, nella tradizione latina e greca, è il processo di generazione spontanea delle api dal corpo in decomposizione di un bue. Da un cadavere, nasce la vita. Dalla putrefazione, l’ordine naturale si rinnova.

La bugonia come metafora: morte, rinascita, trasformazione

Nella cultura classica, la bugonia era un mito agricolo e spirituale. Virgilio, nelle Georgiche, descrive il rito attraverso cui gli uomini, dopo aver ucciso un bue e lasciato marcire il suo corpo, vedevano nascere sciami d’api dal ventre in decomposizione. Una immagine cruenta, ma anche metafora sulla ciclicità della vita: dalla morte di un essere vivente, un’altra forma di vita prende forma.
Yorgos Lanthimos riprende questo concetto e lo trasforma in simbolo visivo e narrativo.

Bugonia non racconta letteralmente la storia di un rituale, ma costruisce un mondo in cui la rigenerazione passa attraverso la distruzione. Come già in The Killing of a Sacred Deer o The Favourite, il regista usa il grottesco come lente per osservare la natura umana. In Bugonia, però, la riflessione si fa più radicale: il titolo diventa una dichiarazione di intenti, un presagio. Ogni personaggio è chiamato a una trasformazione, spesso dolorosa, in cui il corpo e la mente vengono messi alla prova.

Una scena dal film, Bugonia di Yorgos Lanthimos.

Un mondo chiuso e artificiale: la gabbia come laboratorio umano

Bugonia si svolge in un ambiente chiuso, asettico, quasi scientifico, come se i personaggi vivessero in una colossale sperimentazione comportamentale. In questo contesto, la “bugonia” diventa una metafora sociale: il corpo collettivo è il bue, destinato a marcire per generare un nuovo ordine. È il sacrificio necessario per permettere la nascita di una nuova forma di convivenza, di un nuovo equilibrio. Ma Lanthimos, coerente con il suo sguardo ambiguo e spietato, non ci dice mai se questa rinascita è un progresso o una regressione. Come sempre, lascia allo spettatore il compito di interpretare.

Nel cuore del film ci sono Jesse Plemons ed Emma Stone, che tornano a lavorare insieme dopo Kinds of Kindness, consolidando un’intesa che sembra ormai centrale nell’universo di Lanthimos. Se Stone è da anni la sua attrice feticcio, Plemons si rivela qui la sua perfetta controparte maschile.

Nel film, i loro personaggi incarnano due poli opposti: lei rappresenta la spinta vitale, la necessità di mutare, di rompere gli schemi; lui, invece, la quiete apparente, la resistenza al cambiamento, la paura di disintegrarsi. Il loro incontro-scontro riflette la tensione della bugonia: per far nascere le api, qualcuno deve marcire.

Jesse Plemons in Bugonia.

Bugonia parla di decomposizione morale, ma anche di rigenerazione spirituale

A differenza di molti film di Lanthimos, in cui il significato del titolo emerge solo a posteriori, in Bugonia il titolo è la chiave di lettura sin dall’inizio. È un concetto, un simbolo e una profezia insieme.

Il sacrificio del bue rappresenta l’ordine che si autodistrugge, mentre le api che nascono dal suo corpo sono la promessa di un futuro imprevedibile. Allo stesso modo, nel film, la società che si autodistrugge genera nuove possibilità, ma anche nuove mostruosità. Non c’è catarsi senza dolore, non c’è rinascita senza decomposizione.

Lanthimos sembra dirci che la vita umana è una forma di bugonia continua: ogni crisi, ogni perdita, ogni dolore produce qualcosa di vivo, anche se non sappiamo riconoscerlo subito. È un messaggio cupo e luminoso allo stesso tempo, perfettamente coerente con la visione del mondo del regista, dove l’assurdo non è una deviazione dalla realtà, ma il suo specchio più fedele.