La città proibita, il terzo lungometraggio firmato dal regista italiano Gabriele Mainetti, dopo l'uscita nei cinema lo scorso 13 marzo, è stato aggiunto al catalogo Netflix. Dopo i successi di critica e pubblico di Lo Chiamavano Jeeg Robot (2015) e Freaks Out (2021), Mainetti porta sullo schermo una pellicola di genere ambiziosa, sfidando le convenzioni del cinema contemporaneo italiano, non sempre avvezzo alle contaminazioni.
L'opera infatti, mescola azione, dramma e commedia attraverso una toccante storia di vendetta e amore, il tutto ambientato in una Roma multietnica e frenetica, proponendosi come un'esplorazione dei generi con la componente delle arti marziali e forti richiami al cinema orientale e a maestri come Quentin Tarantino, pur mantenendo una forte identità italiana.
Nel cast de La città proibita troviamo: Enrico Borello (Marcello), Yaxi Liu (Mei), Marco Giallini (Annibale), Sabrina Ferilli (Lorena), Chunyu Shanshan (Mr. Wang) e Luca Zingaretti (Alfredo).
La storia di Marcello e Mei, due realtà che si scontrano e si incontrano
L'inizio de La città proibita ci porta indietro nel tempo fino alla Cina degli anni '80 (e fine '70), dove vigeva la rigida politica del figlio unico. Qui conosciamo Yun e Mei, due sorelle che, per sfuggire alle sanzioni, vengono cresciute segretamente e addestrate fin da piccole alle arti marziali.
La storia fa poi un salto temporale con una sequenza tra le più belle e significative di tutta la pellicola, trasportandoci nella Roma contemporanea, nel cuore del quartiere Esquilino. Mei (Yaxi Liu) arriva in Italia in cerca della sorella Yun, che scopre costretta a prostituirsi in un losco covo della malavita cinese a Roma.

Il destino di Mei, che non parla una parola di italiano e usa il traduttore per farsi capire e la violenza come unica arma per farsi rispettare, si incrocia con quello di Marcello (Enrico Borello), un giovane cuoco che cerca disperatamente di salvare il ristorante di famiglia dalla rovina dopo che il padre, Alfredo (Luca Zingaretti), lo ha abbandonato, lasciando lui e sua madre soli con debiti e problemi. Mei e Marcello ben presto scopriranno di avere in comune più cose di quante potrebbero immaginare.

In questo scenario si inserisce anche Annibale, interpretato da Marco Giallini, un amico di famiglia e figura controversa che nutre un forte risentimento verso gli immigrati, e il proprietario de "La città proibita" Mr. Wang, (Chunyu Shanshan), figura di potere e controllo nel sottobosco criminale della Roma contemporanea.
La sua presenza è centrale nella narrazione: il personaggio incarna la violenza e la corruzione del mondo criminale in cui Mei è costretta a immergersi, ed è il principale bersaglio della sua sete di giustizia e vendetta. Sebbene il ruolo del cattivo sia ben delineato, la realtà è più complessa di quanto sembri: corruzione, rancore e vigliaccheria sono in realtà celati, ma appartengono anche ad altri personaggi.
La città proibita e l'apertura alle altre culture nel cinema e nella realtà contemporanea
Il film si sviluppa attraverso intense sequenze di kung fu sapientemente coreografate (alcune anche molto stravaganti, con l'utilizzo di alimenti e utensili da cucina), che nel complesso contribuiscono assieme alle scenografie ricercate a creare un'atmosfera dinamica e visivamente potente.
Mainetti riesce a fondere, dunque, elementi tipici dei film d'arti marziali al melodramma, senza tralasciare l'ironia che è sempre presente nei suoi film ed esplorando temi come il pregiudizio culturale e la difficoltà di convivenza in una società sempre più complessa.

Mei e Marcello si ritrovano a lottare contro gli stessi nemici, ma anche contro i demoni interiori del loro passato e le barriere culturali, regalandoci una storia d'amore che innesca profonde riflessioni, anche tramite l'utilizzo di metafore e simbologie culinarie, sull'integrazione e la società contemporanea apparentemente aperta, ma che in realtà non riesce ancora ad accettare del tutto le altre culture.

La città proibita è audace, un'opera fresca, stilisticamente ricercata che conferma la capacità di Mainetti di spingersi oltre i confini del cinema italiano tradizionale e con delle ottime scelte di casting.
Il film regala al pubblico un'esperienza visiva ed emotiva coinvolgente, ma il finale forse pecca di originalità, cadendo in alcuni cliché narrativi che sembravano ben lontani da questa pellicola. Forse una chiusura troppo frettolosa per un film che rappresenta la determinazione e la dimostrazione che è possibile fare questo tipo di cinema anche in Italia.