Recentemente è uscito nelle sale italiane, distribuito da I Wonder Pictures: The End, un dramma post-apocalittico che parte con delle premesse uniche per il suo genere.
La prima opera di fiction del regista statunitense Joshua Oppenheimer, che si era distinto nel panorama cinematografico i suoi film documentari incisivi, è un musical claustrofobico che esplora molteplici tematiche come il divario sociale, la presa di coscienza della responsabilità e l'alienazione. The End è stato girato principalmente in una location unica e suggestiva, la miniera di sale di Raffo, a Petralia Soprana, in provincia di Palermo.
Nel cast di The End troviamo: Tilda Swinton, Michael Shannon, Tim McInnerny, George MacKay, Bronagh Gallagher, Moses Ingram, Lennie James, Danielle Ryan.
The End: una storia controversa tra divario sociale e alienazione
The End è una pellicola che parte da un’idea molto forte, ricca di spunti di riflessione e interrogativi sull’evoluzione, o involuzione, della nostra società.
La trama ruota attorno a una famiglia ricchissima che da oltre vent’anni vive in un lussuoso bunker sotterraneo all’interno di una miniera di sale, rifugio costruito per sopravvivere all’apocalisse scatenata da un disastro ambientale.
Fin dal primo incontro con i protagonisti, lo spettatore ha la sensazione di assistere a degli attori che interpretano degli “attori”: persone totalmente distaccate dalla realtà che le circonda, che continuano a vivere una vita apparentemente perfetta, anche se sono solo in sei e probabilmente gli unici sopravvissuti al mondo.

La famiglia allagata protagonista è composta da Madre (Tilda Swinton), Padre (Micheal Shannon), Figlio (George MacKay) , Amica (Bronagh Gallagher), Dottore (Lennie James) e Maggiordomo (Tim McInnerny). A nessuno di loro viene dato un nome proprio, caratteristica che contribuisce a rafforzare il senso di alienazione e distacco. Ci vengono presentati sommariamente, persone apparentemente normali che si muovono però in un contesto bel lontano dall'ordinarietà.
Di fatto, ognuno di loro finge. Ben presto ci si accorge che quelle che vediamo sono solo delle maschere, ognuno di loro nasconde qualcosa che tutti gli altri sanno, ma celano anch'essi. È una realtà costruita su una serie di numerose bugie collettive e in questa realtà non realtà è nato e cresciuto il Figlio della ricca coppia, indottrinato e manipolato.

Il Figlio interpretato da George MacKay, che ci regala una notevole performance, scoprirà e metterà in dubbio sempre più i dogmi che gli sono stati inculcati grazie anche all'arrivo di una Ragazza (Moses Ingram) dall'esterno, che viene vista come una minaccia e tenuta a distanza, ma la cui presenza rivelerà altre pagine di dolorose bugie.
L'elemento del musical che vuole stranire e rafforzare, ma che non coinvolge
The End racchiude in sé tutti gli elementi perfetti per essere un film potente, fresco e lucido sull'attualità e le contraddizioni del mondo contemporaneo, ma qualcosa nel complesso non funziona.
La sceneggiatura scritta da Oppenheimer parte da uno dei soggetti più interessanti di quest'anno cinematografico, ma non decolla mai. Il racconto resta sempre statico e anche se il senso di vuoto e l'alienazione arrivano immediatamente, manca d'incisività.
L'elemento musical è inserito in alcuni momenti benissimo e inizialmente sortisce l'effetto desiderato, ma le canzoni alla lunga sempre tutte molto simili anziché arricchire appiattiscono il racconto.

Dal punto di vista visivo, le ambientazioni e le scenografie sono ben curate, la miniera di sale è una location d'impatto e affascinante. La regia si dimostra valida, ci sono delle belle intuizioni, ma c'è anche fin troppa staticità.
L'opera nel complesso è coraggiosa, folle, le performance non deludono, ma l'idea funziona molto più sulla carta che nella messa in scena vera e propria.
Va ammesso che il messaggio dato dall'uomo (inteso come tutta la famiglia) che sopravvive al disastro che lui stesso ha contribuito a causare, che nonostante la consapevolezza continua a vivere nel modo più agiato possibile e che anche difronte alla devastazione non apre gli occhi e non ammette le sue colpe, ma vuole solo dimenticare e convincersi delle sue stesse bugie, arriva ed è estremamente attuale, e va a denunciare la società "bendata" in cui viviamo.

I sentimenti sopiti e repressi della Madre che nasconde e dimentica la sua stessa famiglia si riflettono con il senso di colpa perenne che invece vive la Ragazza, ma nel finale, nonostante il "viaggio emotivo" affrontato, che dovrebbe portare scompiglio e cambiamento, tutto torna statico e persino la sconosciuta si adatta a quella alienazione perenne, dimostrandoci che è più facile sforzarsi di dimenticare che cambiare, e che per sopravvivere ci si può adattare a tutto. Ed è questa forse la vera forza di una pellicola che poteva essere potentissima, ma che invece si configura traballante.
The End, in conclusione, è un'occasione per certi versi sprecata, ma che sicuramente merita una visione.