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Recensione

Asteroid City, Recensione: Wes Anderson, nel bene e nel male

Asteroid City è il nuovo film di Wes Anderson, nei cinema italiani a partire dal 14 settembre.

Autore
Francesco
Schinea
Asteroid City, Recensione: Wes Anderson, nel bene e nel male

Pochi registi sono tanto riconoscibili da un'inquadratura quanto Wes Anderson. La sua ossessione per la simmetria ed i colori a pastello è diventata così popolari da dare vita ad un vero e proprio trend sui social.

Ora Anderson torna finalmente al cinema. Lo fa con Asteroid City, in sala dal 14 settembre distribuito da Universal Pictures. Uno dei film più andersoniani di sempre, quindi i detrattori del regista sono avvisati: statene alla larga. Chi invece ama l'eccentricità stilistica di Anderson difficilmente resterà deluso.

Benvenuti ad Asteroid City

Un'inquadratura in bianco e nero. Si apre in questo modo Asteroid City, con un conduttore televisivo, interpretato da Bryan Cranston, a presentare la messa in onda di un'opera teatrale: Asteroid City, scritta da Conrad Earp (Edward Norton).

Viene così messo in chiaro che quello a cui si assisterà è pura finzione, un racconto nel racconto. Il cambio di aspect ratio ed il passaggio dal bianco e nero al colore proietta all'interno della piccola cittadina desertica di 87 abitanti che fa da sfondo alla vicenda principale del film.

Ad Asteroid City si svolge, infatti, una convention di giovani astronomi che riunisce studenti e genitori per una competizione accademica. Fra questi vi sono Augie Steenbeck (Jason Schwartzman) ed il figlio Woodrow. Augie che non ha ancora trovato il modo di dire alle sue tre bambine e a Woodrow che la loro madre è morta da ben tre settimane, perché non trova mai il momento giusto per farlo.

Anche la celebre attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson) si trova ad Asteroid City per la convention. Ed è proprio con lei che Augie si apre maggiormente, soprattutto quando il governo degli Stati Uniti d'America pone l'intera città in quarantena a causa di un incontro ravvicinato.

Asteroid City

Una metanarrazione dirompente

Asteroid City è un buon film ed un passo in avanti rispetto a The French Dispatch. È però lontano dalla brillantezza narrativa di Grand Budapest Hotel, ma anche dalla semplicità di Moonrise Kingdom. Si tratta dell'opera che sintetizza Wes Anderson, con i suoi pregi ed i suoi difetti.

L'estetica è ancora una volta il fiore all'occhiello del lavoro di Anderson. È sufficiente un piano sequenza per stupire e trasportare lo spettatore nel mondo desertico e nelle atmosfere retrò di Asteroid City. Non staremo qui a commentare la maestria del regista nel regalare inquadrature sensazionali, fuori dal comune per la cura nell'uso delle simmetrie.

Un formalismo visivo che si accompagna a quello narrativo, reso attraverso la cornice che racchiude la vicenda principale. In tal modo il film viene presentato come una vera e propria opera teatrale (giustificando anche la "teatralità" del regista e della scenografia), una suddivisione in atti e scene che compare a schermo.

Se nelle prime fasi questa metanarrazione sembra una sfida vinta, con il passare del tempo l'incursione della produzione teatrale, delle sequenze in bianco e nero narrate da Bryan Cranston, risulta un'arma a doppio taglio. Quella di Asteroid City è una storia in cui ci si vorrebbe immergere totalmente, ma si viene respinti dai continui intermezzi, almeno fino al gran finale.

D'altra parte quella di Wes Anderson è una scelta consapevole. Perché semplicemente non c'è nulla da raccontare. O per meglio dire, parafrasando le parole di uno dei personaggi di Asteroid City, non c'è nulla da capire.

Inutile allora chiedersi il senso di ciò che avviene nel corso del film. Inutile chiedersi perché i personaggi compiano determinate azioni. In realtà Anderson accenna una risposta: in alcuni casi ci si comporta in modo strano per essere ricordato dagli altri, per farsi notare pur apparendo diverso, in quello che sembra un commento sul suo modo di fare cinema.

Asteroid City

Tanti modi di essere diversi

Asteroid City è, tra le tante cose, un film sulla diversità. Ognuno è diverso a modo suo. Chi perché è troppo intelligente per non dare importanza a ciò che conta realmente. Chi perché è talmente sopraffatto dal dolore da non trovare il coraggio di esternarlo. C'è sempre però qualcuno con cui condividere la propria diversità.

Il teatro umano di Wes Anderson è talmente eterogeneo da poter offrire punti di vista estremamente differenti sugli stessi avvenimenti, sulla vita stessa. La morte può essere vista con gli occhi di un genitore o di un marito sopraffatti dal dolore, ma anche con quelli di bambine che non hanno neppure la concezione del tempo, figurarsi dell'eternità.

Neanche un genio può tuttavia dare una spiegazione all’infinità dell’universo e alla vita extraterrestre. Tutti i dubbi esistenziali restano senza risposta, perché per Anderson diventa impossibile razionalizzare l’imprevedibilità della vita. Ed è per questo che anche Asteroid City è destinato a restare incompreso, tra mille possibili teorie la verità assoluta non esiste.

Sono queste le uniche conclusioni che è possibile trarre da un ottimo terzo atto, in cui le vicissitudini dei personaggi e dei loro attori si intrecciano abilmente, con una toccante riflessione sul dolore e sull'arte. Ciò non toglie che la grande trovata finale, in grado di fornire una chiave di lettura per l’intera pellicola, non è sufficiente a riscattare totalmente due atti narrativamente scialbi. Vorrebbe dire tanto ma lo fa in modo approssimativo, ed il cast stellare non aggiunge nulla con le sue interpretazioni.

Perché per quanto ambiziosa, ci troviamo di fronte ad un'altra opera del regista in cui lo stile prevale sul contenuto. Wes Anderson in tutto e per tutto, prendere o lasciare. Noi ce lo teniamo stretto, in quanto Asteroid City è l'ennesima dimostrazione dell'unicità del regista, di un modo di fare cinema così particolare da tenere incollati allo schermo ad ogni inquadratura.

Asteroid City, Recensione: Wes Anderson, nel bene e nel male

7

Asteroid City

Asteroid City è uno dei film più andersoniani di sempre. Un'opera visivamente ineccepibile, espressione della cura del regista per l'estetica dei suoi prodotti. A questa si accompagna una narrazione stratificata, ambiziosa, ma che non convince fino in fondo. Nel complesso però il ritorno di Wes Anderson è più che promosso.