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Biancaneve, Recensione: i live action funzionano ancora? (Spoiler: NO)

Il remake live action di Biancaneve cerca di rendere omaggio al film d’animazione, ma finisce con lo stravolgere la storia che tutti conosciamo.

Recensione di 

Biancaneve live action

Contenuto della recensione

Una splendida fanciulla dalla carnagione di porcellana e agghindata con dei miseri stracci si accinge a cantare nel pozzo dei desideri I’m Wishing, spiegando alle sue amiche colombe il suo forte desiderio di trovare il suo principe azzurro.

Era il 1937 quando uscì sul grande schermo Biancaneve e i sette nani, primo film d’animazione targato Walt Disney basato sull’omonima fiaba tedesca dei fratelli Grimm, una pellicola che a distanza di anni continua a risplendere – non è un caso se nel 2008 l’American Film Institute l’ha classificata come la più grande opera d’animazione americana di tutti i tempi – e a portare cineasti come il nostro Dario Argento a omaggiare nei propri lavori quello che all’epoca era un vero e proprio design innovativo.

Poteva Walt Disney lasciarsi scappare l’opportunità di riportare sullo schermo, a distanza di 88 anni dalla sua uscita, il remake in live action del suo classico? Distribuito il 20 marzo 2025 sotto il semplice titolo di Biancaneve, il nuovo lungometraggio vede protagonista Rachel Zegler e una miriade di buoni propositi (a detta della casa di produzione) che finiscono inevitabilmente per schiacciare e soffocare una storia classica che, seppur datata, non andava assolutamente toccata.

C'era una volta...

In un regno molto lontano il re e la sua regina accolgono tra le braccia la loro splendida bambina, Biancaneve, chiamata così in quanto sopravvissuti tutti insieme a una tempesta di neve. Il luogo dove risiedevano era contornato da bellezza e canti, fino a quando la madre della piccola non si ammalò, lasciando Biancaneve sola con il padre. In seguito, il re si risposò con una nuova donna che rivelò la sua vera natura solo dopo aver spinto il coniuge e il suo esercito lontano dalla sua terra.

Senza più genitori la fanciulla viene delegata come sguattera della sovrana; il regno, terra di sogni e libertà, diventa un luogo distopico dove i sudditi vivono in povertà a causa delle eccessive tasse che devono pagare. Egoisticamente accecata dalla sua straordinaria bellezza, Grimilde ordina al suo cacciatore di portare Biancaneve nella foresta e di ucciderla in quanto il suo specchio magico le rivela che è ora la fanciulla a essere la più bella del reame.

Spinto da un atto caritatevole il cacciatore avverte la protagonista delle intenzioni malvagie della strega e la invita a scappare nella foresta e a non tornare più nel regno. Spaventata, Biancaneve fugge fino a quando un gruppo di animali la conducono in una casetta isolata. Sarà in quella occasione che la sua strada si incrocerà con sette creature magiche e (nuovamente) con un ladro dal cuore buono.

Biancaneve insieme alle creature magiche.

Un live action fin troppo chiacchierato

La Biancaneve di Marc Webb ha un unico e grande pregio: il far parlare di sé. E no, questo non ha niente a che fare con i numerosi cambiamenti adottati per stravolgere una storia nata sul finire degli anni Trenta.

Si parla ovviamente delle diatribe sorte fin dalla sua produzione, con la scelta di far interpretare la principessa a un’attrice di origini colombiane e polacche, l’adozione di una CGI per ricreare i sette nani (pardon sette creature magiche) per non offendere la comunità affetta da acondroplasia dopo l’intervento dell’attore Peter Dinklage, l’eliminazione del principe azzurro a favore di un empowerment, le critiche pubbliche di Rachel Zegler al film originale e soprattutto il complicato rapporto tra quest’ultima e Gal Gadot in merito alle loro dichiarazioni sullo scontro Israele-Palestina.

Un ricco tavolo bandito di succulenti argomenti che chiunque avrebbe trovato più appetitoso e digeribile alla visione del live action attualmente nelle sale. Se solo i produttori avessero avuto l’idea di riprendere sotto forma di documentario questo lungo (e tortuoso) processo piuttosto che farci visionare questo inutile film. Com’è che diceva don Abbondio? Non s’ha da fare. E probabilmente proprio per le polemiche che girano dietro a Biancaneve da qualche anno, questo lungometraggio non doveva vedere la luce.

Biancaneve e la perdita delle sue origini

Lo sradicamento dell’identità della prima principessa della Walt Disney avviene fin da quella prima canzone presente nel film d’animazione, I’m Wishing, sostituita con un più contemporaneo Waiting On A Wish per eliminare qualsiasi tipo di concetto legato al suo rimanere inerme in attesa del principe azzurro. Un’estensione di questo cambiamento che lo si può rintracciare fin dal titolo del live action: un semplice Biancaneve per sottintendere l’emancipazione di questa giovane fanciulla, un’eroina non più bisognosa di essere tratta in salvo dagli uomini ma capace di farcela con la sua sola forza, addirittura di combattere insieme a loro.

È in nome di un politically correct forzato che si assiste a sontuose modifiche che, se da una parte hanno l’obiettivo di puntare a un nuovo pubblico (e quindi le attuali generazioni), dall’altra si imbatte in un’orda di fan della casa di Topolino profondamente offesi da questi stravolgimenti mal assemblati: il nome Biancaneve le viene affidato in quanto sopravvissuta – insieme alla sua famiglia – a una tempesta di neve, allontanando quel richiamo alla sua carnagione di porcellana; il tema cardine sul vero amore viene fatto tacere per una storia di empowering nella quale è la protagonista a prendere in mano il suo destino, tant’è che lo stesso principe azzurro viene totalmente eliminato dalla scena a favore di un ladro dalle nobili azioni.

Un moderno Robin Hood i cui tratti caratteristici – il taglio di capelli, i continui punzecchiamenti con Biancaneve e le sue intenzioni – ricordano esattamente il furfante Flynn Rider di Rapunzel. Una semplice coincidenza o un clamoroso segnale che la Disney stia faticando nel trovare idee originali?

Il ladro Jonathan e Biancaneve.

Il pezzo forte ci viene servito con l’entrata in scena dei 7 nani ricreati in CGI, creature magiche (nel film non viene mai menzionata la parola “nano”) di per sé orripilanti che mantengono le personalità del vecchio lungometraggio d’animazione del 1937 con un’unica eccezione: Cucciolo ritrova l’uso della parola grazie a Biancaneve.

Eppure, nel live action questi personaggi fondamentali ai fini della storia finiscono per perdere di importanza e diventare l’ombra di sé stessi a causa di una sceneggiatura confusa e pasticciata. Che senso possono avere questi sette simpatici amici se a loro si uniscono anche la banda di ladri capitanata da Jonathan? Perde così di significato il loro ruolo che viene addirittura ridimensionato, così come l’occasione della Walt Disney di includere veri attori nani nel casting, una decisione che di per sé fa riflettere se si pensa che a prestare la voce a Brontolo è il performer Martin Klebba mentre uno dei ladri è impersonato da George Appleby.

Quella di Erin Cressida Wilson è una sceneggiatura che fatica a sorreggere i 110 minuti di durata: il risultato finale è una Biancaneve che cerca di rimanere il più fedele possibile all’adattamento del 1937 ma con evidenti riscritture per aggiornarla ai nostri tempi, con la sola conseguenza di rendere lo sceneggiato confuso e poco incisivo. Vengono a meno gli stereotipi della donna casalinga – Biancaneve che sistema la casa dei nani da sola – o dell’indifesa fanciulla che attende il vero amore, arrivando a comporre e perfezionare un personaggio che ha poco a che fare con quella portata in scena negli anni Trenta.

La Biancaneve di Rachel Zegler fatica a rimanere impressa nella mente degli spettatori in quanto non ha niente da offrire se non una bella vocalità. Ed è proprio questo l’errore madornale di questo live action: personaggi poco efficaci e mal tratteggiati come la Regina Cattiva di Gal Gadot, il cui minutaggio sulla scena viene abbreviato forse più per la sua incapacità di recitare che per altro (a tal proposito un possibile paragone tra l’attrice israeliana con Charlize Theron e Julia Roberts sarebbe quanto mai controproducente).

Gal Gadot nel ruolo della Regina Cattiva.

Si fatica a entrare in sintonia con Biancaneve per un uso eccessivo di CGI, rendendo meno armonioso il lato fiabesco della storia. Le nuove canzoni composte da Benj Pasek e Justin Paul (autori in precedenza dei brani di La La Land e The Greatest Showman) riflettono una stanchezza che si sta abbattendo su Disney, portandole a dimenticare nel giro di pochi minuti, così come il reparto costumi non fa del suo meglio a causa di abiti fin troppo caricaturali (le uniche eccezioni sono quelli portati in scena da Gadot).

Per questo nuovo rifacimento sono stati spesi la bellezza di 250 milioni di dollari, rendendolo uno dei live action più costosi mai realizzati. Sorge quindi spontanea una domanda: era proprio necessario scomodare la storia di Biancaneve per illustrarla alle nuove generazioni?

Biancaneve

Recensione diSonia Modonesi, fin da piccola i film della Walt Disney mi hanno spinto a credere in me stessa e a perseverare nei miei sogni.

Il remake in live action di Biancaneve di Marc Webb perde completamente il suo valore simbolico a favore di un politically correct che ha il solo scopo di snaturare l'identità della prima principessa della Walt Disney. A causa di una sceneggiatura fin troppo pasticciata e di una revisione in chiave moderna l'opera finisce per perdere il suo obiettivo, portando in scena una storia che mal assomiglia alla sua versione originale. Una eccessiva CGI, un ritmo lento, idee poco originali e una recitazione fin troppo caricaturale (Gal Gadot) contribuiscono ad appesantire una pellicola destinata a essere dimenticata nel breve periodo.

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