Per fare qualcosa di grande, il cinema chiede spesso sacrifici: illogici, irrazionali, a volte persino immorali. La bilancia tra ciò che il cinema dona e ciò che toglie è da sempre un tema che affascina sia gli addetti ai lavori che gli spettatori. Non sarà l’idea del secolo, ma è proprio questo il cuore di Jay Kelly, il nuovo film di Noah Baumbach presentato alla 82esima Mostra del Cinema di Venezia.
Il film segue la star del cinema Jay Kelly e il suo devoto manager Ron in un viaggio vorticoso attraverso l’Europa che, tra incontri e imprevisti, si trasforma in un bilancio personale: i due sono costretti a fare i conti con le scelte compiute, i legami con le persone amate e l’eredità che desiderano lasciare.
Il tiepido difficilmente scalda
Da un lato il film intrattiene con una combinazione efficace di interpreti, come George Clooney e Adam Sandler, e una rappresentazione visiva pulita e curata; dall’altro, però, il percorso che ci conduce alla conclusione è appesantito da momenti eccessivamente didascalici, interrotti qua e là da spunti onirici che non riescono davvero a toccare lo spettatore.

Molti personaggi secondari restano appena abbozzati, mentre quelli italiani finiscono per scivolare nella macchietta totale. Anche tempo e spazio sembrano perdere consistenza durante la visione, generando una messa in scena piacevole da guardare ma spesso fuori contesto.
George Clooney è Jay Kelly
Per fortuna, c’è George Clooney. La sua presenza in Jay Kelly è enorme, forse perfino ingombrante, ma proprio questa sovrabbondanza regala i momenti migliori dell’opera. Una presenza massiccia, autentica, senza filtri.
A riequilibrare gli alti e bassi arriva il finale: nella sua massima semplicità riesce finalmente a esprimersi con sincerità, senza artifici, e a commuovere davvero il pubblico. A volte basta poco, e non ce ne rendiamo conto. Peccato: Jay Kelly aveva tutte le carte in regola per essere molto di più.