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M3GAN 2.0, Barbie e le altre: l’evoluzione della bambola al cinema, da giocattolo innocente a serial killer

Dall’ultima apparizione in M3GAN 2.0, passando per Barbie: come si è evoluta la figura della bambola nel cinema? Ripercorriamo la sua storia.

Di , fin da piccola i film della Walt Disney mi hanno spinto a credere in me stessa e a perseverare nei miei sogni.

Una scena dal film, M3GAN 2.0

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Era il 1959 quando sul mercato venne commercializzata la prima Barbie, una bambola dalle fattezze simili a quelle di un’umana ma in versione notevolmente ridotta (appena 30 cm) che cambiò profondamente l’industria dei giocattoli. La sua creatrice, Ruth Handler, sostenne fortemente questo suo progetto in quanto vedeva nella sua invenzione un modo per permettere alle bambine di giocare e di rapportarsi con una bambola che poteva finalmente impersonare ruoli da adulti.

Chiamata in onore della figlia Barbara, ben presto Barbie divenne un modello per tutte le fanciulle del mondo in quanto con essa potevano sfogare la loro immaginazione e creatività. Un giocattolo simbolo di empowerment femminile che, con il passare degli anni, ha finito per includere e rappresentare la diversità in ogni sua forma, arrivando a dimostrare che ogni bambina poteva essere non solo ciò che desiderava ma anzi, poteva aspirare a credere nei propri sogni.

L’affermazione di Barbie portò nel lungo periodo alla realizzazione di lungometraggi, sebbene sia da rintracciare nel 2001 l’anno in cui la bambola Mattel diventò particolarmente popolare nel mondo cinematografico grazie ai vari adattamenti cinematografici dei classici racconti di fiabe, provenienti da autori come i Fratelli Grimm o Charles Dickens. Nacque così per la televisione Barbie e lo schiaccianoci (2001), Barbie Raperonzolo (2002)e Barbie – Lago dei cigni (2003) ma è solo nel 2023 che esplose definitivamente il successo al botteghino grazie alla pellicola Barbie di Greta Gerwig con protagonista Margot Robbie.

Una scena dal film, Barbie.

Storie di bambole possedute, storie di cinema

Giocattoli come le Barbie o i classici bambolotti hanno da sempre invaso l’infanzia di ogni bambino, uno strumento utile per il loro apprendimento che mira prevalentemente a sviluppare alcune capacità razionali nei fanciulli. Eppure, è proprio all’interno del mondo cinematografico e televisivo che la percezione della bambola che abbiamo noi cambia di significato, in particolar modo se inquadrato all’interno del genere dell’orrore. Da semplice gioco innocuo, la bambola acquista sembianze demoniache con risvolti omicidi capace di instillare terrore nei volti dei protagonisti.

Ci troviamo di fronte a un albero genealogico dalle varie e lunghe stratificazioni che trovano origine in pellicole come La bambola del diavolo (1936) di Tod Browning, sebbene alcuni spruzzi si possano rintracciare anche nella filmografia italiana come Profondo Rosso (1975) di Dario Argento, in particolar modo nella scena che precede l’omicidio di Glauco Mauri dove un bambolotto in triciclo fa la sua comparsa nel nulla generando stupore e anche un minimo di inquietudine. Per quanto riguarda l’ambito televisivo trova terreno fertile la Trilogia del terrore (1975) di Dan Curtis, un film destinato per il piccolo schermo e suddiviso in tre episodi orientati su una bambola africana posseduta da un demone, il cui successo porta alla registrazione di un seguito con al timone lo stesso cineasta.

Il rapporto tra uomo e pupazzo muta progressivamente nel corso degli anni, in particolar modo è interessante inquadrare il passaggio dall’innocenza a quella dell’alter ego oscuro, una sorta di nuovo “mostro” simbolo di paura e preoccupazione capace di rappresentare l’innocenza corrotta e l’entità maligna. È soprattutto a partire dagli anni Ottanta che la bambola assassina trova l’apice del suo successo grazie ad alcuni registi – e soprattutto case di produzione – tanto da arrivare a farsi un nome generando un purpureo di lungometraggi simili tra loro. In particolare, si ricorda il terrificante pupazzo clown animato da presenze maligne che alloggiano nella dimora di Poltergeist – Demoniache presenze (1982) di Tobe Hooper o le numerose bambole protagoniste di Dolls (1987) di Stuart Gordon e prodotto da Charles Band, principalmente conosciuto per i suoi lungometraggi a basso costo dominati da pupazzi all’interno di un riquadro horror soprannaturale.

La riuscita di questi lavori cinematografici spalanca le porte a un ciclo di successi che parte con Puppet Master – Il burattinaio (1989) di David Schmoeller, il primo episodio di una saga creata da Andre Toulon sviluppatosi in seguito solo per il mercato home video fra il 1990 e il 2012 (malgrado una parte rimanga inedita in Italia); è però con il bambolotto di nome Chucky che si origina un franchise cinematografico destinato a un’incredibile successo, consacrato a rimanere immortale tra i suoi fan, dove il villain dato dal pupazzo omicida prende finalmente piede grazie al suo ruolo di primissimo piano.

La bambola assassina (1988) di Tom Holland vede per l’appunto un assassino braccato dalla polizia che, gravemente ferito, trasferisce attraverso una sorta di rituale voodoo la sua anima all’interno di un bambolotto che, una volta regalato a un bambino, finisce per prendere vita e riprendere la sua carriera omicida. A questi si aggiunge l’enigmatico titolo Chi c’è in fondo a quella scala (1988) firmato da Sandor Stern, un horror psicologico contraddistinto dalla tematica del disagio adolescenziale, nella quale la bambola assume le sembianze di un terribile manichino di nome Pin.

Una scena dal film, Chucky.

Negli anni più recenti la formula, rimasta inalterata, ha visto la nascita di nuovi lungometraggi forgiati da elementi più oscuri: tra questi si enunciano titoli come Dead Silence (2007) di James Wan, un’opera dove ventriloquismo e ghost story si plasmano dando vita a un effetto soprannaturale. Il nome di Wan ritorna sotto la denominazione di produttore in Annabelle (2014), spin-off di L’evocazione – The Conjuring dove la bambola aveva già fatto la sua entrata in un ruolo secondario.

In questo caso vengono ripresi i frammenti di una storia vera che vedono protagonista la bambola di porcellana per installare un’atmosfera di paura e mistero. In ultimo è doveroso aggiungere un titolo nato per lo più per un pubblico adolescenziali che mira a occhieggiare (sebbene non ne sia l’adattamento cinematografico) i romanzi di R. L. Stine: stiamo ovviamente parlando di Piccoli brividi (2015) di Rob Letterman, un’opera dove i mostri rinchiusi nelle pagine dei libri dello scrittore prendono vita nella realtà.

M3GAN 2.0: l'intelligenza artificiale è la nuova minaccia?

L’evoluzione della bambola killer passa per mano di M3gan (2023) e il suo sequel M3gan 2.0 (2025) entrambi diretti da Gerard Johnstone. Il pupazzo di pezza o la bambola di ceramica vengono totalmente sostituiti da un robot dotato di intelligenza artificiale, una pellicola horror che mira prevalentemente ad affondare i suoi artigli su una problematica all’ordine del giorno: quanto può essere pericolosa la tecnologia se fuori dal nostro controllo?

Una scena da M3GAN 2.0.

Il lungometraggio – prodotto da volti celebri del mondo del terrore come James Wan e Jason Blum – punta a riflettere su una vastità di tematiche, spostando l’attenzione su un nuovo pericolo che circonda la nostra società come l’I.A. e le conseguenze nell’affidarsi fin troppo alla tecnologia ultra-sviluppata di oggi, richiamando l’attenzione in paure ben più profonde che ogni giorno circondano l’essere umano. Innovativa ed efficace, M3gan ha il pregio di fornire un punto di vista totalmente nuovo sul high-tech, un racconto nella quale le possessioni demoniache vengono accantonate per affrontare un disagio che potrebbe raggiungere la nostra realtà.

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