A differenza di altri generi cinematografici, i biopic musicali riescono molto facilmente nell'unire due universi, cinema e musica, che condividono lo stesso linguaggio emotivo: ritmo, intensità, identità. Raccontare un artista attraverso il cinema significa immortalare ciò che è unico: voce, corpo e vita fuori dal palco. Negli ultimi vent’anni il genere del biopic musical ha conosciuto una nuova, fortissima stagione di rinascita, riprendendo le vite di alcuni degli artisti più incredibili negli anni.
Il punto d’arrivo più recente di questa evoluzione è il film Springsteen: Liberami dal nulla (qui per leggere la recensione), dedicato al Boss, Bruce Springsteen, diretto da Scott Cooper, con Jeremy Allen White nei panni del musicista. Un film che riporta l’anima del rock americano al centro del racconto cinematografico, ma che lo fa con una consapevolezza nuova: quella di un artista che si è sempre sentito diviso tra la terra e la gloria, tra il palco e la solitudine.

Bob Dylan, due volte al cinema con A Complete Unknown e Io non sono qui
Pochi artisti hanno ispirato il cinema come Bob Dylan, e il suo rapporto con l’immagine è sempre stato ambiguo e camaleontico. Todd Haynes lo aveva già raccontato nel 2007 con Io non sono qui, film che è anche manifesto del biopic postmoderno: sei attori (tra cui Cate Blanchett, Heath Ledger e Christian Bale) interpretano altrettante versioni di Dylan, a volte neanche chiamate con il suo nome.
Si tratta un film biopic che dissolve il concetto di “identità biografica” per trasformarlo in pura rappresentazione di simboli e stili. Dylan diventa così un’idea più che una persona, una maschera che riflette la molteplicità dell’artista moderno.

Più di recente, abbiamo avuto modo di vedere A Complete Unknown, diretto da James Mangold con Timothée Chalamet, che sceglie invece la via complementare: tornare al realismo, ma senza perdere il senso di mito. Ambientato nel 1965, durante la svolta elettrica di Dylan al Newport Folk Festival, il film esplora il momento in cui il cantautore rompe con le sue radici folk e affronta il giudizio del pubblico e della critica. Chalamet canta con la propria voce, restituendo al personaggio un’energia viscerale e nervosa, sospesa tra genio e alienazione.
Il caso eclatante di Bohemian Rhapsody
Difficile parlare di biopic musicali senza menzionare Bohemian Rhapsody (2018), il film che ha riportato in auge il genere, conquistando quattro Oscar e rilanciando il culto dei Queen per una nuova generazione.
Pur criticato per alcune libertà narrative e per un certo tono idealizzato, il film funziona come spettacolo popolare, gigantesco atto d’amore verso la musica. Rami Malek, nei panni di Freddie Mercury, offre un’interpretazione magnetica e calibrata, capace di catturare la fragilità dietro l’eccesso.

L’apice del film è l'incredibile ricostruzione del Live Aid del 1985, scena iconica tanto quanto lo spettacolo originale.
Whitney – Una voce diventata leggenda il biopic di una vita intera
Se il rock e il pop hanno trovato nel biopic una forma di celebrazione, il film Whitney – Una voce diventata leggenda (2022), diretto da Kasi Lemmons, affronta invece la dimensione tragica del talento.
Naomi Ackie interpreta Whitney Houston con un equilibrio raro tra potenza e vulnerabilità, evitando la trappola dell’imitazione. Il film ripercorre l’ascesa e la caduta dell’artista, ma non come semplice parabola di successo: è il racconto di una donna schiacciata dalle aspettative, dal controllo familiare e mediatico, e dal peso di una voce che non smette mai di pretendere.

Lemmons restituisce a Whitney una dimensione umana, e il film trova il suo momento più alto non nei concerti, ma nel silenzio. Quando la cantante, da sola, guarda se stessa allo specchio e si chiede chi sia diventata.
Il biopic enorme su Elvis Presley con Austin Butler
Baz Luhrmann, con Elvis (2022), firma forse il biopic più barocco e sensoriale del decennio. Un film che è simbolo dell’eccesso, della velocità, del montaggio frenetico. Austin Butler è straordinario, incarna Elvis Presley in tutta la sua ambiguità: un corpo idolatrato, manipolato, consumato.

Il film non è solo un ritratto del Re del rock’n’roll, ma una riflessione sulla nascita della cultura dello spettacolo. Attraverso la figura del colonnello Parker (Tom Hanks), narratore e antagonista, Luhrmann mostra come il mito di Elvis sia stato costruito e distrutto dal sistema mediatico stesso. È un’opera ipnotica e inquieta, che unisce la vertigine visiva all’angoscia del controllo: un artista intrappolato in una macchina che lo trasforma in icona prima ancora che in uomo.
Non solo biopic sulle star più celebri
Non tutti i biopic musicali raccontano superstar. Tick, Tick… Boom! (2021), esordio alla regia di Lin-Manuel Miranda, parte dal monologo autobiografico di Jonathan Larson, autore del musical Rent, morto a 35 anni poco prima della prima dello spettacolo. Si tratta per Andrew Garfield l'occasione per offrire una delle performance più intense della sua carriera, trasformando la vita di Larson in un inno all’arte come necessità.

A differenza dei biopic più celebrativi, Tick, Tick… Boom!, disponibile su Netflix, parla di fallimento, di precarietà, di paura, emozioni che molti artisti contemporanei riconoscono come proprie.
La storia della musica attraverso il cinema
Negli ultimi vent’anni, il biopic musicale ha smesso di essere un semplice “film sulla vita di un cantante”. Oggi è un vero e proprio nuovo laboratorio di linguaggi. Dall’introspezione minimalista di Springsteen: Liberami dal nulla alla reinvenzione visionaria di Elvis, dalla coralità di Bohemian Rhapsody alla frammentazione poetica di Io non sono qui, ogni film costruisce il proprio modo di mettere in scena lo spettacolo musicale da ogni prospettiva, mostrando gli artisti come esseri umani.
