Con il film The Testament of Ann Lee, presentato in concorso all’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Mona Fastvold firma un’opera che non si limita a raccontare la vicenda di una figura storica controversa e dimenticata, ma la trasfigura in un’esperienza cinematografica densa, radicale e sorprendente. Non è un film per tutti, e forse è proprio questa la sua forza: ambizioso, non addomesticabile, capace di spiazzare e di restituire al cinema quella funzione perturbante che troppo spesso il mercato tende ad anestetizzare.
L’audacia di Mona Fastvold tra storia, musica e visione
Ann Lee, detta anche Mother Ann, nata a Manchester nel 1736, è costretta sin da piccola a lavorare in condizioni durissime nell’industria tessile. Si sposa giovane, partorisce quattro figli che muoio tutti prima dell'anno e trova conforto al suo dolore nella fede e nel movimento religioso gli Shakers, da lei stessa fondato sull'idea che il peccato originale fosse la lussuria e dedito alla predicazione del celibato assoluto.
Tra gli Shakers, Ann Lee veniva venerata come incarnazione femminile di Cristo: un concetto scandaloso e destabilizzante per l’epoca, che le attirò ostilità e persecuzioni, ma che consolidò la devozione dei suoi discepoli.
Mona Fastvold, la regista, non si limita a riportare una biografia didascalica ma piuttosto presenta una meditazione visiva e sonora su cosa significhi incarnare una visione radicale, su come un corpo femminile possa farsi veicolo di un potere spirituale, e su come la fede possa diventare allo stesso tempo estasi e condanna.
Anne Lee è Amanda Seyfried, un corpo posseduto dalla fede
Al centro della pellicola c’è l'acclamata Amanda Seyfried, qui in una delle prove più mature e sorprendenti della sua carriera. Lontana anni luce dai ruoli più convenzionali che l’hanno resa popolare, l’attrice abita Ann Lee con una fisicità scavata, febbrile, quasi medianica. Non interpreta semplicemente un personaggio: sembra lasciarsi attraversare da forze oscure e potenti, rendendo credibile tanto la dimensione mistica quanto quella terrena e dolorosa di Ann.

Le scene in cui il corpo della protagonista si piega a canti, litanie e movimenti rituali non sono coreografie spettacolari alla maniera di Broadway, ma momenti di trance collettiva, spesso scomposti, fisicamente provanti. È in questa tensione che Seyfried raggiunge un’intensità rara, capace di trasformare ogni inquadratura in un atto di fede e insieme in una testimonianza di sofferenza.
The Testament of Ann Lee non è un musical di Broadway
Uno degli aspetti più affascinanti e spiazzanti di The Testament of Ann Lee è il suo rapporto con la musica. Non siamo davanti a un musical nel senso classico del termine: qui non ci sono brani pop da ricordare, né numeri danzanti costruiti per lo spettacolo. Quello che vediamo e ascoltiamo sono i canti degli Shakers, vere e proprie invocazioni religiose, inni nati dal dolore e dalla ricerca di trascendenza.
La colonna sonora si muove in una direzione radicalmente diversa da quella dei musical contemporanei: è una partitura che pulsa, graffia, a tratti si fa quasi cacofonica, ma sempre profondamente ipnotica. Le melodie non cercano armonia convenzionale, ma un’energia rituale, capace di trascinare lo spettatore in uno stato di ascolto fisico e quasi corporeo.
La musica diventa quindi il vero motore narrativo del film: scandisce i momenti di visione, di estasi e di crisi, si intreccia con il respiro dei personaggi, amplifica il senso di inquietudine e di trascendenza. È una scelta audace, perché rifiuta qualsiasi concessione all’orecchiabilità, ma proprio per questo risulta memorabile e unica. In sala, i canti risuonano come mantra che scuotono lo spettatore e lo trascinano in un viaggio sensoriale.

Mona Fastvold conferma con questo film la sua capacità di costruire immagini potenti e indelebili, basti ricordare Il mondo che verrà, sempre presentato alla Mostra di Venezia nel 2020. La fotografia granulosa, la pellicola 70 mm restituiscono un Settecento cupo e naturalistico, dove la luce delle candele e la polvere degli ambienti agricoli diventano parte integrante della messa in scena. Ogni dettaglio, dagli abiti ricostruiti con rigore filologico, alla gestualità quotidiana dei fedeli, contribuisce a creare un universo chiuso, claustrofobico e allo stesso tempo mistico.
The Testament of Ann Lee divide il pubblico, ed è un bene che sia così
The Testament of Ann Lee non è un film facile. È lento, cupo, quasi disturbante. Ma è proprio questa la sua grandezza: nel rifiuto di accomodarsi nei confini del biopic tradizionale o del musical commerciale, Mona Fastvold costruisce un’opera che si impone come un atto radicale di cinema.
Ann Lee emerge come figura simbolica e attuale: una donna che tre secoli fa osò proclamarsi veicolo del divino, sfidando una società maschile e patriarcale che non poteva tollerare tale affermazione. La sua storia, portata sullo schermo con tanta forza, diventa anche una metafora contemporanea: ancora oggi le donne che rivendicano una posizione fanno paura, e vengono marginalizzate o silenziate.
Con The Testament of Ann Lee, Mona Fastvold non restituisce soltanto un pezzo di storia dimenticata, ma riafferma la necessità di un cinema che sappia interrogare il presente attraverso il passato, che osi rischiare e che abbia il coraggio di essere scomodo.