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Un semplice incidente, Recensione: un capolavoro che sfida il regime

Il vincitore della Palma d’Oro, Jafar Panahi, è arrivato al cinema con Un semplice incidente e il suo coraggio merita tutta la nostra attenzione.

Recensione di 

Una scena dal film, Un semplice incidente.

Contenuto della recensione

Jafar Panahi è al cinema con il suo ultimo e assolutamente necessario capolavoro. Un semplice incidente, film vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2025, è un film che non possiamo che definire importante. È un film che merita di essere visto, anche solo per il grande coraggio con cui il regista ha, ancora una volta, deciso di esistere e di denunciare con grande creatività e intelligenza le brutalità di un regime.

Vahid Mobasseri in una scena del film, Un semplice incidente.

Di cosa parla Un semplice incidente?

È notte, Rashid (Ebrahim Azizi) è in macchina con la moglie e la figlia, quando improvvisamente un cane si getta in strada e Rashid non riesce a evitarlo. Un semplice incidente che crea un guasto all’auto e che costringe Rashid a fermarsi, casualmente, nei pressi di un garage dove un giovane uomo si offre di aiutarlo.

Vahid (Vahid Mobasseri), all’interno dell’officina, sente i passi dell’uomo e crede di riconoscere il suo torturatore in carcere. L’andatura del passo e il cigolio di una protesi alla gamba riportano immediatamente Vahid a ferite, fisiche e psicologiche, mai superate, quando in carcere subì violenze e brutalità proprio da un uomo che faceva lo stesso “rumore”. Rimasto nell’ombra, Vahid decide così di seguire Rashid e di agire il giorno seguente per rapirlo, con l’idea di fargliela pagare.

Lo aggredisce e rinchiude nel suo furgone, e lo porta nel deserto deciso a seppellirlo. Ma Rashid nega tutto. Un dubbio, quindi, lo assale di colpo: è davvero lui il suo aguzzino? Può il rumore di una protesi essere così riconoscibile? La possibilità di aver sbagliato persona è troppo alta per rischiare, e Vahid decide di chiedere aiuto ad altri ex detenuti, che come lui hanno personalmente conosciuto il famigerato “gamba-lesta”.

Una parabola reale

La storia che decide di raccontare Panahi è incredibilmente necessaria non solo per la denuncia politica e sociale che diffonde, ma soprattutto per il modo in cui lo fa. Il registro comico, a tratti rabbioso, che con un climax diventa infine drammatico, è un atto di coraggio e ingegno con cui Panahi disarma chiunque si trovi a guardarlo.

Una scena dal film, Un semplice incidente.

I paradossi narrativi, che fanno sorridere ed empatizzare con i personaggi – in particolare con il protagonista, che dietro una finta scorza da “duro” è in realtà assolutamente innocuo e compassionevole – non sono altro che espedienti per inquadrare le storture del sistema e l’animo di chi la storia l’ha vissuta in prima persona. Come il nostro regista, che il regime l’ha subìto e combattuto grazie a film come questo, scritto e girato di nascosto per ovvi motivi.

Jafar Panahi ama la sua gente e lo dimostra attribuendo ai suoi prodi qualità catartiche: empatia, compassione, caparbietà, senso di giustizia, ma non vendetta. Perché alla violenza, chi è dalla parte giusta della storia, non può mai rispondere con violenza.

La disperazione finale di Vahid e Shiva esplode nella consapevolezza di non riuscire a essere come loro, come gli aguzzini che hanno inquinato la loro dignità, e deformato la loro vita.

La credibilità della scena, dei dialoghi e del film in toto è perfettamente intatta, e lo è grazie al fatto che a dirigere Un semplice incidente sia proprio Jafar Panahi.

Una scena dal film, Un semplice incidente.

Indubbiamente politico, schietto, Un semplice incidente è un film per certi versi anche ottimista. La cornice comica che definisce la narrazione ammorbidisce l’immagine di un paese molto più severo di quel che prospetta il regista iraniano. Il clima disteso trasmette un’atmosfera più leggera di quella che conosciamo, almeno per quanto riguarda i protagonisti. Shiva e la sposa sono infatti emblema di un coraggio femminile che in parte tenta di sfidare il sistema: i capelli sciolti, l’hijab lento, a tratti colorato, sono segni di un cambiamento, idealizzato, che incoraggia i nostri “eroi” ad agire.

In un film con riferimenti fortemente autobiografici come questo, Panahi decide di non partecipare in prima persona, di non mostrarsi esplicitamente, ma di attraversare in sordina la storia senza monopolizzarla, rendendo così la sua battaglia una battaglia collettiva, e affidandola ad attori non professionisti che riportano con sincerità le ferite di un intero paese.

Ruoli umili, comuni – una fotografa, due sposini, un manovale – che rendono il dramma tangibile, non esclusivo. Persone ordinarie che hanno affrontato il carcere e le sue brutalità solo per aver inseguito normali ideali di libertà. Ed è la libertà che continuano a inseguire nelle vicende intrecciate di un episodio così fortuito, come “un semplice incidente”, che dà il via a tutto. Una libertà che forse non sarà mai assoluta, ma che potrà essere più vicina una volta catturata l’incarnazione di quel male: il torturatore, la persona che fisicamente ha ferito tutti loro anni prima, dovrà chiedere scusa, così che la catarsi possa essere più concreta. E comunque, forse, non basterà.

L’eco di un dolore fisico – Vahid ha costantemente la mano sul rene che, come fosse un monito, gli ricorda la violenza subìta –, morale, così intimo e umiliante, come quello di un’incarcerazione ingiusta e di una violenza ingiustificata, non smetterà mai di risuonare. Che sia solo immaginazione o realtà, alcune ferite non si rimarginano mai veramente. E con questo ci lascia Panahi: il rumore della protesi che Vahid continua a sentire, è reale?

Un semplice incidente, tra teatro e realtà

L’interpretazione genuina e sincera di un cast alle prime armi è il valore aggiunto a questa pellicola che ha davvero tanto da dire e urlare al mondo. Una recitazione, favorita da alcune ambientazioni, a tratti teatrale, che veicola la drammaticità di un dolore inguaribile. Di una stasi, quella che rimanda a Beckett, con il riferimento esplicito ad Aspettando Godot, di una condizione di attesa che non passa.

Una scena dal film, Un semplice incidente.

Gli anni di inframezzo tra la prigionia e il presente vissuti dalle vittime – i nostri protagonisti – sembrano esser stati una lunga pausa in attesa di un’occasione che servisse a mettere un punto alla loro sofferenza passata. Eppure, quando l’occasione arriva, l’attesa non si esaurisce, e la loro condizione effettivamente non cambia. La solidarietà tra anime pure, come quelle di Vahid, Shiva, Alì, Hamid, unisce nella disperazione e nel fervido desiderio di libertà, raggiungendo lentamente la consapevolezza che liberi non lo saranno forse mai davvero, ma che sì, non sono e non diventeranno proprio ora come i loro persecutori.

Designato dalla Francia come candidato ufficiale agli Oscar 2026 per il Miglior Film Internazionale e distribuito da Lucky Red, Un semplice incidente è al cinema, non perdetelo. Fatelo per tutti i Panahi nel mondo.

Un semplice incidente

Recensione di Martina Gargano, traduttrice e correttrice di bozze con una grande passione per la settima arte. Al cinema sogno a occhi aperti e mi sento al sicuro. Su Hynerd.it, scrivo di cinema e serie TV.

Un semplice incidente è un film che bussa alle nostre coscienze, che implora attenzione, che deve essere visto. Un film che ci ricorda di non dare nulla per scontato e che mette al centro l'umanità, quella di cui il mondo dovrebbe nutrirsi e quella che, invece, sta perdendo. Necessario.