C’è un che di affascinante nell’appropriarsi di una parte della storia dell’America nera per portare sul grande schermo un racconto capace di infondere al suo interno un connubio di tropi narrativi, generando un insieme di generi cinematografici che si amalgamano per portare alla luce tematiche care al regista come il blues, la fede, l’appropriazione culturale e il soprannaturale.
D’altronde, I peccatori non è nient’altro che una lettera d’amore rivolta ai cari del cineasta Ryan Coogler, qui alla sua quinta collaborazione con il suo attore feticcio Michael B. Jordan affiancato dall’esordiente Miles Caton. Distribuito da Warner Bros il 17 aprile 2025, la pellicola è un lungo cammino all’interno della comunità afroamericana nella quale musica e culti religiosi si intrecciano in una spirale di sangue in chiave horror.
I peccatori, di cosa parla?
Mississippi, 1932. I gemelli Smoke e Stack (Michael B. Jordan) sono una coppia di gangster ritornati da poco nel Nord dopo aver trascorso diversi anni a Chicago, periodo che è servito per accumulare - in maniera del tutto illegale – abbastanza soldi per comprare una vecchia segheria per trasformarla in un juke joint, uno spazio dedicato alla comunità nera. Eppure, in quelle terre un male più profondo e radicato è pronto a emergere con prepotenza per portare morte e sangue lungo il suo cammino.
Un lungo viaggio tra realtà e finzione
Quello di Ryan Coogler è un nome che rimbalza sul grande schermo negli ultimi anni grazie all’apporto che ha dato ad alcuni franchise – pensiamo a Creed – Nato per combattere nella quale ha contribuito a portare in alto la saga di Rocky Balboa o a Black Panther, facente parte dell’universo Marvel e diventato in poco tempo il lungometraggio con il miglior incasso di tutti i tempi di un regista afroamericano.
Libero dalle spirali di qualsiasi serie cinematografica il cineasta è ritorno alle sue origini, attingendo da quella realtà che l’aveva portato agli inizi della sua carriera a realizzare un’opera come Prossima fermata Fritvale Station. E chi meglio del suo braccio destro poteva assicurarsi il doppio ruolo di protagonista?

I peccatori è un ritorno al passato segnato dagli orrori del Ku Klux Klan e dalle leggi Jim Crow, dove all’interno della cittadina di Clarksdale la comunità nera è impegnata nel raccolto del cotone nelle lunghe distese delle piantagioni (sebbene la schiavitù negli Stati Uniti d’America sia stata abolita da almeno 60 anni). Sebbene gli orrori e la paura si annidino dietro questi maestosi campi, a tenere in vita la comunità nera è l’energia che vibra nelle persone, nelle giornate passate dentro la chiesa a pregare e a cantare e nella musica, in particolare la nascita del blues.
Siamo in luogo sacro in quanto proprio da questo borgo nacque questo genere musicale, portando nel corso degli anni alla nascita di diverse leggende popolari che imposero l’attenzione del pubblico, in particolare il patto effettuato nel 1930 da Robert Johnson per vendere la sua anima al diavolo in cambio della sua arte chitarristica. Quello di Coogler è, in definitiva, un film storico capace di intrecciare la realtà con la finzione, nella quale la colonna sonora detiene un ruolo primario in quanto utilizzata come una sorta di commento per le scene che si svolgono davanti ai nostri occhi.
La storia prende avvio con una circolarità narrativa offerta attraverso la tecnica del flashforward, nella quale il regista si cimenta a stuzzicare lo spettatore offrendo una piccola anticipazione dell’epilogo, un feroce assalto di quello che ci attenderà nei 137 minuti di spettacolo. Riavvolgendo il nastro a 24 ore dai fatti che ci attendono, la prima parte del racconto (il lungometraggio si svolge quindi come un flashback) è sostanzialmente una lunga introduzione dove vengono presentati i personaggi ed esposto il processo di creazione del juke joint, un ritmo lento che ha il duplice significato di penetrare all’interno della psiche degli individui che incontriamo lungo il percorso in modo da esporre la furia e il dolore che li logora da dentro.
A calamitare l’attenzione dello spettatore è senz’altro la performance di Michael B. Jordan nel doppio ruolo dei gemelli Smoke e Stack, veterani della Prima guerra mondiale e ritornati alle loro radici dopo un passato a Chicago, luogo tutt’altro che visto come paradiso razziale. Con a disposizione un mucchio di soldi rubati ad Al Capone e il sogno di dare vita a un luogo tranquillo dove la comunità nera può esibirsi e rilassarsi dopo una lunga giornata lavorativa, i fratelli ingaggiano amici e conoscenti per far sbocciare il loro piccolo angolo di paradiso terrestre.
La prima conquista ha il nome di Miles Caton nel ruolo del loro cugino Sammy, un esordiente che possiede il dono della musica e della chitarra e il sogno di lasciarsi alle spalle il padre predicatore per inseguire una sua strada personale lontana dai suoi sermoni. È attraverso questo personaggio che il cineasta Coogler introduce uno dei miti che avvolgono l’intera opera, di come alcune persone abbiano la rara dote di evocare con la loro musicalità gli spiriti benevoli ma anche quelli dannati usciti dalla bocca del demonio.
Al cospetto dei gemelli protagonisti seguono la coppia di negozianti cinesi Grace e Bo Chow (Li Jun Li e Yao), l’armonicista Delta Slim (Delroy Lindo) e l’amico Cornbread (Omar Benson Miller). A questi si aggiungono due figure femminili di spicco, l’ex moglie di Smoke di nome Annie (Wunmi Mosaku) esperta di questioni soprannaturali che convive ancora con un forte dolore dato dal trauma della prematura morte della loro bambina e Mary (Hailee Steinfield), donna birazziale che si presenta come femme fatale dal passato legato a Stack.

Se nella sua prima parte la sceneggiatura punta l’occhio al suo ricco cast, sottolineando il senso di immigrazione ed emarginazione di questa comunità nera, il secondo atto assume toni più orrorifici scanditi dallo scorrere del sangue e dall’adrenalina grazie alla comparsa dell’antagonista Remmick, un vampiro irlandese interpretato da un maestoso Jack O’Connell. È intuibile quali sono le influenze che hanno portato allo sviluppo de I peccatori, da pellicole come Fargo e Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen fino ad arrivare alla figura di Papa Legba in American Horror Story: Coven, una celebrazione di cosa possa significare la musica per le comunità e le culture.
Non sorprende come la colonna sonora sia stata nuovamente affidata al compositore svedese Ludwig Göransson, suo collaboratore di lunga data capace di portare in auge la tradizione del blues mescolato al folk irlandese e al rock puro. Sua è la punta di diamante rintracciabile a metà visione per mezzo di un piano sequenza, punto focale dove è possibile vedere l’evoluzione della musica – tra passato, presente e futuro – e come questa abbia un profondo legame con le persone. Tra i suoi fedeli team di filmmaker si rintraccia anche il direttore della fotografia Autumn Durald Arkapaw, abile nel fotografare la comunità nera protagonista per lasciare sullo sfondo i bianchi, i vampiri per eccezione, e la costumista Ruth E. Carter.

Per Ryan Coogler I peccatori rappresenta l’opportunità di fondere generi diversi tra loro per volgere l’attenzione a tematiche odierne come il razzismo, l’oppressione della chiesa e la costante ricerca di una libertà da essa e dal suo pensiero bigotto, la contrapposizione tra neri e bianchi nonché l’egemonia della razza bianca (il pensiero va dritto al vampiro Remmick, non estraneo alle degradazioni in quanto di origine irlandese trapiantato in un luogo lontano dalla sua terra e intenzionato ad affondare i denti e a fare sue le culture musicali dei neri). I peccatori è senz’altro un’opera intelligente e fluida, destinata a rimanere impressa per la capacità di Coogler di dar vita a un qualcosa mai visto prima d’ora.