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Paternal Leave, La recensione del film con Luca Marinelli

Reduce dal successo di M – Il figlio del secolo, Luca Marinelli torna sul grande schermo con Paternal Leave, opera prima della moglie Alissa Jung.

Recensione di 

Juli Grabenhenrich e Luca Marinelli in una scena del film

Contenuto della recensione

Reduce dal successo di M – Il figlio del secolo, serie TV che racconta l’ascesa di Mussolini e di cui è protagonista, Luca Marinelli torna sul grande schermo con Paternal Leave, opera prima scritta e diretta dalla moglie Alissa Jung e presentata in anteprima nella sezione Generation del 75° Berlin International Film Festival.

Una storia di crescita e formazione a doppio senso, per un padre e sua figlia che si incontrano per la prima volta dopo 15 anni. Noi lo abbiamo visto in anteprima e vi raccontiamo le nostre impressioni.

Leo è una ragazza di 15 anni con una storia a metà. Si intuisce sin dalle prime scene che ha da poco scoperto l'identità del padre, mai conosciuto, e che probabilmente tale rivelazione è stata traumatica. Quando la madre parte per lavoro, Leo decide con coraggio di prendere il primo treno dalla Germania e cercare suo padre in Italia, per la precisione a Marina Romea, una frazione marittima vicino Ravenna. L'unico indizio che ha è un video YouTube.

Luca Marinelli e Juli Grabenhenrich in una scena del film Paternal Leave.

Paolo è un padre inadeguato, gestisce una struttura sulla spiaggia, insegnando surf ai ragazzi, e vive in un camper. Quando si trova di fronte Leo, la figlia tedesca mai conosciuta, non sa come reagire.

È inverno, la spiaggia è deserta, e il clima freddo si riflette nel rapporto tra i due. La determinazione, mista a rabbia, di Leo, costringe Paolo a confrontarsi con le mancate responsabilità di padre, gettandolo nell'imbarazzo e la confusione di non riuscire a gestire l'incontro.

In una cornice desolata e in un paesino così semplice, Leo conosce Edoardo, un ragazzo anch'esso incompreso e con un padre violento, ed Emilia, la seconda figlia, riconosciuta, di Paolo, che inconsapevolmente aiuterà entrambi a evolversi.

Un particolare Coming of Age

L’opera prima di Alissa Jung, attrice tedesca al suo primo lungometraggio, è il racconto tenero e delicato del rapporto mancato tra un padre e sua figlia.

Il titolo gioca proprio sul grado di responsabilità che tale padre ha nei confronti di un abbandono istintivo e nostalgico. Quando Leo arriva nella sua vita, Paolo mente in parte a sé stesso alleggerendo il peso di una decisione drammatica come quella dell’abbandono e convincendosi piuttosto di essere inadeguato. Questo aspetto non è dichiarato apertamente, ma traspare dai suoi gesti, dalla purezza delle sue confessioni rabbiose quando a Leo ammette di non essersi sentito pronto.

Non era una questione di volontà, ma di pura inadeguatezza. Un’inadeguatezza con cui Paolo continua a fare i conti anche da adulto, e che lo costringe costantemente a confrontarsi con la realtà. Gli altri maturano, lui fatica, ma ci prova. Ci prova con la seconda figlia, Emilia, che si rivela una figura chiave nel suggerirgli e mostrargli ciò che è giusto: accogliere, non rifiutare. Abbracciare, non respingere.

Arturo Gabbriellini e Juli Grabenhenrich in una scena di Paternal Leave.

Il primo incontro tra i due protagonisti genera impaccio. La vita di Paolo viene sconvolta, ma tacitamente, e Leo, che sperava finalmente in qualche reazione, viene delusa dall’impassibilità apparente del padre. La preoccupazione primaria per lui è infatti quella di concentrarsi sul rapporto con Emilia, “per non ripetere gli stessi errori” e lasciare fuori Leo, la cui identità tenta in ogni modo di tenere nascosta.

L’evoluzione del rapporto è graduale, leggera e assolutamente priva di retorica. Padre e figlia si specchiano a tratti negli stessi istinti e nelle stesse paure. Il coming of age diventa così di entrambi, e si srotola in un climax lento che sfocia solo alla fine in un pianto liberatorio urlato a gran voce e tutt’altro che mainstream.

Il grande merito di Alissa Jung è proprio questo: aver raccontato con trasparenza e sobrietà un dolore a doppio senso che, come spesso accade, rischia di eccedere in inutile pathos.

Quello che funziona davvero è proprio il rispetto di un sentimento reale, che viene ritratto con lucidità e tatto. Talmente rispettoso che rischia forse di peccare emotivamente. L’empatia viene infatti parzialmente bloccata da tale neutralità, ma l’interpretazione dei protagonisti si fa colonna portante e fa funzionare il tutto.

È così che un legame carnale e idealizzato, come quello tra padre e figlia, appare innaturalmente complicato, adulto, appunto. Un intervallo di 15 anni annienta tale intimità, e correre ai ripari diventa una complessa operazione di coraggio, emotivamente destabilizzante.

Gesti e non-detti guidano la narrazione

Come anche accadde, ad esempio, in C’mon, C’mon (2021), la pigrizia della narrazione superflua è qui un grande pregio. La Jung toglie, non aggiunge. Ci risparmia digressioni, spiegazioni estemporanee e si concentra sul presente. I gesti, gli sguardi e i silenzi sono protagonisti. E dall’interpretazione meravigliosa dei protagonisti traspira tenerezza.  

La storia pregressa di Leo e di suo padre, Paolo, viene taciuta, appena accennata. Si entra così, in medias res, nelle vite di due (neo)adulti sorpresi dallo stesso bisogno d’amore.

È un film che non si chiude, non si risolve, ma lascia libera interpretazione – tuttavia propendente all’ottimismo – anche sul finale. Alcuni aspetti sono chiaramente intuibili, ma non vengono forniti dettagli: Paolo ha un passato particolare e, indubbiamente, fatica a trovare un equilibrio nella sua vita e nei rapporti che intesse con gli altri, e ciò si riflette inevitabilmente anche nel suo stile di vita.

È un dramma, quello di Paternal Leave, che si mostra duro, per quanto spoglio, e decisamente reale. Anche se non ha più 21 anni, Paolo è tutt’altro che pronto a essere padre. Continua a fuggire dalle proprie responsabilità. Prova disperatamente a non ricadere negli errori del passato, ma tale tentativo è riservato esclusivamente alla seconda figlia, Emilia.

Luca Marinelli in una scena dal film Paternal Leave (2024)

Per Leo non c’è posto. Dietro la spavalderia forzata di una ragazza di 15 anni, si nasconde una dolce fragilità e un disperato bisogno di amore, tutto racchiuso nella speranza di poterlo riavere indietro da un padre che, ancora oggi, la fa sentire inopportuna. “Non sono un errore”, grida lei inerme. Eppure, per quanto gridi, lui non riesce a scardinare tale convinzione.  

Quello tra i due protagonisti è un continuo rincorrersi a vicenda, prima l’uno poi l’altro, nella difficoltà di riprendere, anzi creare, un legame interrotto troppo prematuramente. La narrazione, però, funziona, racchiusa nei dettagli e nelle cose semplici: canzoni nostalgiche, bagni, sorrisi accennati, piatti di pasta.

Diversi sono anche i richiami metaforici della pellicola, uno fra tutti quello rappresentato dai fenicotteri. Questi animali, scelti con cura, si fanno simbolo di quella che chiameremmo “responsabilità genitoriale condivisa”. Essi, infatti, sono genitori alla pari, maschi e femmine che si prendono cura della prole al 50%. Esattamente quello che Leo non ha (e forse non avrà).

Quando il cast fa la differenza

Luca Marinelli, anche qui, è meraviglioso e, forse, anche necessario. La tenerezza che emana il suo personaggio è candida e perfettamente in linea con la narrazione. Il carisma e l’empatia, le stesse che appartengono a Leo, interpretata dalla bravissima Juli Grabenhenrich, fanno da pilastro all’intero racconto e sfociano in un sentimentalismo misurato, senza eccessi melodrammatici.

Juli Grabenhenrich in una scena dal film Paternal Leave (2024)

Anche la fotografia, di Carolina Steinbrecher, è essenziale e rispecchia lo stato d’animo del racconto. A chiudere, la voce di Marinelli, sulle note di Solo per gioco di Giorgio Poi, culla nei titoli di coda l’eco dolce della storia. Distribuito da Vision Distribution, Paternal Leave arriva al cinema il 15 maggio.

Paternal Leave

Recensione diMartina Gargano, traduttrice e correttrice di bozze con una grande passione per la settima arte. Al cinema sogno a occhi aperti e mi sento al sicuro. Su Hynerd.it, scrivo di cinema e serie TV.

Il topos ricorrente, e rischioso, del rapporto mancato tra padre e figlia torna sul grande schermo, ma senza banalità. Nonostante una neutralità emotiva, a tratti, il grande pregio è proprio quello di evitare pathos e melodrammi superflui in una storia che si racconta da sola in modo vero e senza filtri.

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