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Profondo Rosso torna in sala: ecco perché è un capolavoro

Profondo Rosso torna in sala: ecco perché è un capolavoro

Una delle opere più acclamate e iconiche del cinema italiano ha compiuto il suo grande ritorno nelle sale: Profondo Rosso, il capolavoro del 1975 firmato Dario Argento - oltre ad essere disponibile su Prime Video - sarà di nuovo al cinema restaurato in 4k, a partire dal 10 luglio 2023.

Con il famoso soprannome di “Maestro del brivido”, il regista è perfettamente rappresentato da uno dei film simbolo del cinema italiano nella sua interezza; un'opera senza tempo che, ancora oggi a distanza di quasi cinquant'anni, colpisce per la pienezza artistica della regia e per la brutalità di un cinema ormai lontano dai canoni contemporanei.

Ma quali sono, a conti fatti, gli aspetti più significativi di Profondo Rosso e del cinema argentiano? Approfondiamo l'argomento e scopriamo insieme per quale motivo è considerato – con Suspiria – un capolavoro immortale della cinematografia mondiale.

profondo rosso

Profondo Rosso, tra realismo e paranormale

È opinione comune che il titolo originale della pellicola doveva essere La tigre dai denti a sciabola, continuando quindi sulla tendenza faunistica dei primi tre lavori del regista (L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio), salvo poi optare per Profondo Rosso vista la prevalenza delle tinte scarlatte all'interno dell'opera.

Fu inoltre il primo passo per Dario Argento verso un cammino più orientato sul cinema horror, anche se ancora parzialmente fuori dai contorni del paranormale, come invece accadrà per altre pellicole successive – in particolar modo per la cosiddetta “trilogia delle Tre Madri” –. Dopo una lunga fase di scrittura del film, la collaborazione con lo sceneggiatore Bernardino Zapponi si rivelò decisiva nella realizzazione di un ibrido tra reale e fantastico, caratterizzato da un orrore tremendamente fisico e concreto, accompagnato però sullo sfondo da alcuni elementi soprannaturali, come la storia della medium e la misteriosa villa infestata.

profondo rosso nicolodi

Un thriller tinto di “Rosso”

Per quanto riguarda la trama non servono troppe spiegazioni: un musicista jazz (interpretato dal grande David Hemmings), il suo sbandato amico pianista e una stravagante giornalista appassionata di omicidi (l'immancabile Daria Nicolodi) si trovano coinvolti in primo piano nella ricerca di uno spietato assassino, dando vita ad un'intricata vicenda investigativa che ripercorre, a tratti, un classico canovaccio in stile hitchcockiano.

Il giallo del thriller si tinge però di una violenza considerevole, con il rosso del sangue che scorre inesorabile a più riprese: proprio questo diventerà uno dei marchi distintivi del cinema argentiano, che vede nello splatter esageratamente cruento la manifestazione delle paure più recondite dell'animo umano. L'influsso hitchcockiano è tuttavia presente ed emerge in superficie a partire dall'atipica – nonché assolutamente magistrale – gestione della suspense: infrangendo tutti i canoni di linearità narrativa, Argento mostra dopo pochi minuti il volto dell'omicida, nascosto all'interno di un brevissimo frame grazie a un illusorio gioco di specchi.

Un occhio non particolarmente attento può fare fatica a notarlo, ma il subconscio è perfettamente in grado di cogliere il clamoroso suggerimento. Esattamente come per il protagonista, anche per lo spettatore la soggettiva di un corridoio attorniato di quadri e ritratti rappresenta la chiave per la risoluzione dell'enigma, che si renderà palese solo al termine di un infinito labirinto composto da depistaggi e falsi sospetti.

profondo rosso killer

Il macabro piacere dello splatter

Ciò che più colpisce maggiormente, dopo quasi mezzo secolo di vita, è la straordinaria capacità di Dario Argento – presente in gran parte della sua filmografia, a dire il vero – di rendere così estremamente reale l'illusione cinematografica della violenza e della brutalità fisica.

In una Torino cupa e decadente, sulle note dell'iconica colonna sonora rock-progressive dei Goblin, il regista romano dà libero sfogo a effetti speciali che ancora oggi risultano assolutamente terrificanti, in particolar modo se confrontati con l'intangibile e ridondante effettistica computerizzata dei giorni nostri: denti frantumati, ustioni e pesanti mutilazioni si susseguono in un orripilante tripudio di atrocità, che esaltano un inquietante e palpabile desiderio di sensualità.

Alla freddezza dei guanti in pelle dell'assassino si contrappone dunque il tetro calore del sangue che si riversa a fiumi sul pavimento, riflettendo nel vuoto infinito del suo rosso acceso tutta la profondità dell'orrore e dell'incertezza umana.