Non è facile adattare i libri o i racconti di Stephen King, dai quali sono stati trasposti infiniti prodotti -cinematografici e non-, che il 70% delle volte si sono rivelati dei buchi nell'acqua. Ancora più difficile è questo caso, quello di The Monkey: un racconto che gioca molto sulle sensazioni e che pare non abbastanza lungo per basarci un lungometraggio senza cadere nei soliti cliché che, come abbiamo visto in The Boogeyman, tendono a snaturare quella che è l'opera originale.
Eppure, Oz Perkins, celebre regista di film horror veramente terrificanti e ansiogeni (Longlegs), ci è riuscito. Scopriamo insieme come.
The Monkey, di cosa parla?
Come nell'omonimo racconto, la trama si incentra su Hal (Christian Convery) che ci racconta la storia di lui, il fratello gemello Bill e della Scimmia. La scimmia giocattolo, trovata tra i vecchi possedimenti del padre, ogni volta che viene caricata e suona il suo tamburo, porta alla morte di qualcuno. I ragazzi provano a distruggerla, ma essendo impossibile se ne liberano, gettandola in un pozzo e non pensandoci più. Circa 20 anni dopo, Hal, che non ha mai avuto un buon rapporto con il fratello, è costretto a ricontattarlo perché, udite, udite: le morti strane attorno alla sua famiglia e alla sua città natale sono ricominciate.

La genialità di Oz Perkins
La trama non sembra troppo diversa dal racconto, ma ecco che Oz Perkins cambia rotta e sorprende tutti. Da lui e da un prodotto tratto da King, tutti si aspettano qualcosa di un minimo spaventoso, ma così non è: il film si rivela essere una commedia splatter che fa ridere dall'inizio alla fine. Ogni scena e ogni battuta è perfettamente calibrata e le morti sono così improvvise ed estreme da far scoppiare lo spettatore a ridere (nonostante i fiumi di sangue).
The Monkey: una terapia per il regista

The Monkey è uno spettacolo gore con un dark humor intenso e interpretazioni attoriali (da sottolineare, tra l'altro, il favoloso cameo di Elijah Wood) da definirsi esilaranti ed estreme, perfettamente in linea con il film stesso. La fotografia porta con sé dei colori accesi ed intensi, con uno stile che ricorda il cult Paura e Delirio a Las Vegas, mentre le morti hanno un ché di Final Destination, pur essendo molto più rapide ed improvvise.
Il motivo di queste scelte artistiche così particolari può essere ricollegato al passato di Perkins, che con The Monkey dice di essere riuscito ad esorcizzare i suoi demoni: "Entrambi i miei genitori (Anthony Perkins e Berry Berenson) sono morti in modi folli, da prima pagina. Ho trascorso gran parte della mia vita a riprendermi dalla tragedia, sentendomi piuttosto male. Tutto sembrava intrinsecamente ingiusto. Personalizzi il dolore. Ma ora sono più grande e da grande ti rendi conto che succede a tutti. Tutti muoiono. E ho pensato che forse il modo migliore per avvicinarsi a questa nozione folle è con un sorriso".