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Bugonia, Recensione: il duo più weird del Festival di Venezia è tornato

Tornano al Festival del Cinema di Venezia il regista Yorgos Lanthimos e la sua pupilla Emma Stone con Bugonia, un film remake sul complottismo.

Recensione di 

Una scena dal film, Bugonia di Yorgos Lanthimos.

Contenuto della recensione

Ogni nuovo film di Yorgos Lanthimos è un evento e Bugonia è il suo nuovo film evento. Il regista negli ultimi anni è diventato una sorta di “marchio” di cinema weird per le platee internazionali: ogni sua opera riesce a scuotere in profondità la percezione di chi guarda.

Dopo Dogtooth, che aveva scosso Cannes nel 2009, e The Lobster, che aveva aperto la strada al suo successo europeo, Lanthimos ha conosciuto una seconda vita con La Favorita, avvicinandosi a un pubblico più ampio senza però perdere la sua cifra disturbante. Poi il Leone d’Oro con Povere creature! ha consacrato il suo sodalizio con Emma Stone. Ora, con Bugonia, il regista torna al Festival del Cinema di Venezia portando con sé un’opera che, più di altre, sembra parlare direttamente al nostro presente.

Bugonia nasce come remake del film sudcoreano Save the Green Planet! (2003). Ma parlare semplicemente di “remake” è riduttivo. Se l’originale di Jang Joon-hwan era una satira grottesca a metà tra commedia e fantascienza, Lanthimos compie un’operazione radicale: mantiene lo scheletro narrativo – un uomo che rapisce una dirigente convinto che sia un’aliena – ma lo trasforma in un’allegoria sulla dissoluzione del legame sociale, sul vuoto politico e sul bisogno disperato di credere a qualcosa.

Il titolo stesso, Bugonia, richiama un mito antico: la credenza greca secondo cui dalle carcasse di animali potevano generarsi api. Una visione primitiva, quasi magica, che Lanthimos riprende come metafora: dal marcio del nostro mondo nascono nuove comunità, nuove forme di “verità”, ma sono verità illusorie, nate dalla decomposizione e destinate a generare mostri.

Il film segue Teddy (Jesse Plemons), apicoltore solitario e paranoico, convinto che Michelle Fuller (Emma Stone), potente CEO di una multinazionale farmaceutica, sia in realtà un’aliena con un piano di distruzione globale. Con l’aiuto del cugino Don (Aidan Delbis), Teddy rapisce Michelle, sperando di strapparle una confessione.

La vicenda si muove tra claustrofobia e violenza, dialoghi tesi e momenti di assurdità grottesca, senza mai rivelare con chiarezza se Teddy sia un folle o se esista davvero una minaccia aliena. Il dubbio rimane sospeso fino all’ultimo momento, lasciando lo spettatore intrappolato nello stesso cortocircuito mentale del protagonista.

Una scena dal film, Bugonia.

Il film sul complottismo a Venezia 82

Il cuore del film, però, non sta solo nella vicenda in sé, ma nel suo significato politico e sociale. Teddy rappresenta una generazione smarrita, bombardata da informazioni contraddittorie, incapace di distinguere il vero dal falso. È l’immagine esasperata di ciò che accade quotidianamente sui social network, dove notizie complottiste trovano un pubblico pronto ad accoglierle e rilanciarle.

Impossibile non ricordare il periodo Covid-19 durante la visione di Bugonia. Durante la pandemia abbiamo assistito alla proliferazione di teorie cospirazioniste: vaccini come strumenti di controllo, governi pronti a imporre dittature sanitarie, scienziati descritti come burattini dei poteri forti. Lanthimos raccoglie questo immaginario e lo portar all’estremo, mostrando come il bisogno di “spiegazioni alternative” nasca spesso dal vuoto politico e dall’angoscia esistenziale. Teddy, come molti complottisti reali, non accetta l’incertezza: preferisce credere a una storia folle ma rassicurante piuttosto che confrontarsi con il caos del mondo.

Il sodalizio Emma Stone e Yorgos Lanthimos

Emma Stone, di Bugonia anche produttrice, conferma la sua straordinaria affinità con il regista Yorgos Lanthimos. Già premiata con un Oscar per Povere creature!, qui si mette di nuovo completamente al servizio del regista. La sua Michelle Fuller è un enigma: fredda e calcolatrice, ma anche vulnerabile, capace di resistere al rapimento con una determinazione che lascia trasparire paure segrete.

Stone affronta un ruolo fisicamente ed emotivamente devastante: sottoposta a violenze, umiliazioni, rasature, pressioni psicologiche, diventa un corpo su cui il film scrive la sua allegoria. Non è mai soltanto una vittima: è una figura che sfida costantemente il suo carceriere, che ribalta i ruoli con lo sguardo e con il silenzio. La sua performance in Bugonia è l'ennesima incredibile versatilità, capace di muoversi tra tragedia e ironia, tra pathos e freddezza.

Accanto a lei, Jesse Plemons dà vita a una delle interpretazioni più inquietanti della sua carriera. Il suo Teddy è un uomo comune, apparentemente banale, ma divorato da un’ossessione che lo rende pericoloso. È questa normalità a renderlo tanto disturbante: Teddy potrebbe essere chiunque, il vicino di casa, un collega, una persona incontrata online.

Emma Stone in una scena dal film, Bugonia.

Con Bugonia è arrivato a Venezia un nuovo Lanthimos

Yorgos Lanthimos conferma la sua maestria nel creare universi disturbanti. In Bugonia la sua regia è meno barocca che in Povere creature!, ma più essenziale e tagliente. La fotografia alterna toni freddi e asettici a lampi visionari, mentre il montaggio costruisce un ritmo irregolare, che lascia lo spettatore costantemente in bilico.

Il regista non cerca mai la spettacolarità gratuita: anche le scene più violente non hanno funzione catartica, ma aumentano il senso di disagio. La sua estetica geometrica e claustrofobica riflette il mondo mentale dei personaggi, trasformando la prigionia in una metafora dell’impossibilità di distinguere realtà e paranoie.

Rispetto alle opere precedenti, Bugonia rappresenta una sorta di “terza fase” della carriera del regista. Dopo gli esordi grotteschi e sperimentali (Dogtooth), e dopo la consacrazione internazionale con La Favorita e Povere creature!, sembra ora che il regista sia interessato a un cinema più lineare ma non meno perturbante, capace di parlare direttamente al nostro presente.

Se Povere creature! decostruiva il romanzo gotico e il successivo Kinds of Kindness esplorava la morale contemporanea attraverso un mosaico narrativo, Bugonia si concentra sul bisogno umano di credere e sulla crisi politica. È un film più sobrio, ma anche più diretto, forse il suo lavoro più “politico” finora.

Lanthimos ci costringe a guardare negli occhi la nostra epoca, a riconoscere come il complottismo sia solo il sintomo di un vuoto più grande: una società senza più punti di riferimento. In questo senso, Bugonia è molto più che un film: è uno specchio deformante del presente, un’opera che ci mette a disagio perché ci mostra ciò che siamo diventati.

Emma Stone e Jesse Plemons, straordinari e complementari, guidano uno dei film più intensi dell’anno, atteso al cinema dal 23 ottobre 2025. Lanthimos, ancora una volta, dimostra che il cinema non deve consolare, ma disturbare. E con Bugonia ci regala una parabola potente, destinata a rimanere impressa a lungo nella memoria di chi avrà il coraggio di affrontarla.

Il film diventa così una satira amara: non ride del complottismo, ma ne mostra la radice tragica. È la solitudine, la mancanza di fiducia, l’assenza di comunità politica a generare il terreno fertile per teorie assurde. Proprio come le api che nascono da una carcassa, i complotti nascono dal marciume di una società in decomposizione.

Bugonia

Recensione di Diletta Chiarello

Yorgos Lanthimos con Bugonia ci costringe a guardare negli occhi la nostra epoca, a riconoscere come il complottismo sia solo il sintomo di un vuoto più grande: una società senza più punti di riferimento. Bugonia è molto più che un film: è uno specchio deformante del presente, un’opera che ci mette a disagio perché ci mostra ciò che siamo diventati.