Il premio Oscar Ron Howard torna al cinema con Eden, un survival movie che racconta la vera storia del mistero dell’isola di Floreana.
Presentato in anteprima come titolo di apertura alla 42ª edizione del Torino Film Festival, Eden testimonia la storia del mistero legato all’isola di Floreana, nelle Galápagos, ispirandosi alle versioni pubblicate da due delle sopravvissute, Dore Strauch e Margret Wittmer. Due testimonianze opposte e contrastanti, che Howard sceglie di riportare non senza schierarsi, piuttosto apertamente, con la versione di Margret.
Eden, di cosa parla?
1929. L’economia è crollata, il nazifascismo si sta diffondendo. Il dottor Friedrich Ritter e sua moglie Dore Strauch abbandonano la Germania per trasferirsi nell’arcipelago delle Galápagos, sull’isola di Floreana, alla ricerca di una filosofia radicale in grado di salvare l’umanità da se stessa. Qui iniziano a costruire la propria vita in “pace” e solitudine, adattandosi progressivamente ai ritmi che la natura impone, mentre il dottor Ritter si dedica alla stesura della sua “bibbia”.
Il superbo obiettivo è quello di diffondere le sue idee nel continente per aprire gli occhi al resto dei popoli. Proprio le sue lettere, raccolte da navi di passaggio, ispirano i coniugi Wittmer a seguirne l'esempio. Il loro arrivo sull’isola, però, non è ben accolto dai Ritter, che tentano sin da subito subdolamente di cacciarli. I Wittmer, però, non cedono e riescono a costruirsi una loro indipendenza.

Quando, però, sull’isola approda anche la baronessa Eloise Bosquet, accompagnata dai suoi due amanti-schiavi, tutto cambia. Il suo progetto di colonizzare l’isola per costruire un hotel di lusso, annienta gradualmente l’equilibrio – già precario – delle vite degli altri abitanti. Tra slealtà, violenze e istinti primordiali, le dure condizioni di sopravvivenza metteranno alla prova ognuno di loro.
Un survival movie un po' atipico
Diverse sono state le occasioni, a partire dal 2001 con A beautiful mind, in cui il regista ha deciso di rappresentare true stories. Girato in Australia, più precisamente nel Queensland, Eden continua questa “tradizione” e, intriso di realismo, consente a Howard di evitare di cadere in banalità legate al genere cinematografico di riferimento.
Le aspettative vengono – in parte – disattese sin da subito, a partire dal titolo, che altro non è che una provocazione. L’isola protagonista, infatti, è tutt’altro che un paradiso terrestre; è piuttosto un inferno in terra, inospitale e abitato da minacce, che sin da subito riflette l’incontro-scontro tra natura e civiltà. Il mito viene quindi immediatamente sminuito e svuotato del fascino che, ingenuamente, si attribuisce a fughe folli e istintive come quelle dei Ritter.
L’atteggiamento di Ron Howard è critico nei loro confronti, in particolar modo verso il dottor Ritter, che, seppur inizialmente viene elevato per il suo coraggio e le sue idee, viene poi gradualmente demitizzato e mostrato per quello che è: un uomo primitivo che, piuttosto che concentrarsi sui propri obiettivi e sui principi che hanno guidato il proprio esilio, cede alla violenza e tenta di distruggere la parvenza di civiltà dei suoi “vicini”, tradendo così la morale e i valori condivisi fino a poco prima con la moglie Dore.
Gli istinti primordiali hanno così la meglio sulla mente, apparentemente inscalfibile, e finiscono per ridicolizzare la sua autorevole figura smascherando la malinconia che - ogni personaggio - sente in fondo della civiltà abbandonata.

Lo stesso approccio si riversa sul personaggio della baronessa Eloise, interpretata dalla magnetica Ana de Armas, che con la sua supponenza approda sull’isola con un solo, capitalistico obiettivo: colonizzarla e costruirci un hotel di lusso, la Hacienda Paradiso.
La storia si ripete
La storia si ripete. È questa la convinzione alla base della scelta che ha portato il dottor Ritter e sua moglie a evadere dalla società, abbandonando le comodità di un mondo civilizzato per ritrovare la pace su un’isola disabitata delle Galápagos. Il parallelismo lampante tra la società della fine degli anni Trenta e quella dei giorni nostri è la premessa con cui si apre la pellicola: l’economia crolla e il nazifascismo arriva al potere. La libertà degli uomini è ostaggio di un’ideologia ottusa e pericolosa.
È in questa cornice che si inserisce Floreana, mostrandosi come una via di fuga e una speranza per ritrovare la verità più profonda e l’essenza dell’essere umano.

L'estetica dell'isola, però, è simbolicamente contrapposta a tale illusione: Floreana ricorda infatti un inferno, quasi una punizione e un forzato ritorno alle origini in virtù di convinzioni anacronistiche.
Ciò che emerge, anche visivamente – e qui la fotografia “anemica” e grigia di Mathias Herndl riflette l'irrequietezza e contribuisce a evocare tali sensazioni – è la crudeltà più spietata di una guerra indissolubilmente legata all’istinto di sopravvivenza che, con violenza, si impadronisce dell’oscura vita isolana.
Filosofia e civiltà
La pellicola, così come la vita dei coniugi Ritter, è intrisa di riferimenti metaletterari e filosofici, che per i protagonisti si traducono però in credenze “placebo” non appena l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento.
Il sarcasmo freddo di Dora si unisce in connubio con il cinismo filosofico del marito Friedrich, generando un (finto) distacco nei confronti di tutte quelle convinzioni che fino a pochi anni prima avevano totalizzato le loro vite nel mondo civilizzato. Per la coppia, il motto da seguire diventa “fuggi il tuo prossimo”, così come professato da Zarathustra, tacitamente evocato con un parallelismo dalla figura del dottor Ritter.
Tali credenze si sgretolano però con l’arrivo dei coniugi Wittmer, che destabilizzano l’equilibrio – seppur già precario – della vita che Friedrich e Dora hanno costruito volutamente in solitudine. Il punto di rottura mostra infatti la natura più infima dell’uomo, generando invidie e violenza che culminano con atti brutali in nome di futili principi. Ossimorico, in tal senso, è proprio il sovvertimento del racconto dei Ritter, in particolare di Friedrich che, da filosofo, non è in grado di applicare un pensiero critico e viene plasmato dalla realtà che lo circonda e che, lentamente, annienta le sue convinzioni dall’interno.
I mali del mondo, che ingenuamente gli abitanti dell’isola credevano aver abbandonato in patria, tornano ciclicamente, rivelandosi naturali predisposizioni umane che, abbiamo visto, con il tempo non fanno altro che crescere.
La centralità delle figure femminili
Nei confronti dei personaggi femminili, Howard adotta un approccio interessante, nel tentativo di elevarle dalla loro condanna sociale ed esaltare il ruolo decisivo che assumono nel microcosmo dell’isola.
Vanessa Kirby, nei panni di Dore Strauch, moglie del dottor Ritter, è intensa e vera nel ritrarre una donna stanca, ma decisa e fermamente convinta delle sue scelte. Consumata e arresa alla malattia, non esita mai nel sostenere e supportare il marito, a costo di subirne lei stessa le conseguenze. Il risentimento traspira dal corpo esile e vive nello sguardo intenso che riserva a ogni forma esterna di calore umano, pur mantenendo un velo di tenerezza. Peccato che l’attrice non abbia molto spazio e che il suo personaggio non emerga per dare giustizia a una grande interpretazione.
Le altre due figure femminili di Eden sono interpretate da Sydney Sweeney, interprete di Margret Wittmer, e Ana de Armas, la baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn e rappresentano due personaggi agli antipodi.

La baronessa è il ritratto del dispotismo nobile che, con l’aggiunta di un innegabile fascino, può tutto nei confronti dei più deboli. Ana de Armas interpreta ancora una volta un personaggio fragile che finge e si veste di una forza apparente, tanto da divenirne vittima lei stessa. La solennità che accompagna il suo arrivo sull’isola, retta dai suoi due amanti-servitori, preannuncia sin da subito la sua natura di colonizzatrice.
Margret Wittmer, una bravissima Sydney Sweeney, è invece l’unico personaggio che subisce un’evoluzione, se vogliamo, positiva. Giovane donna, sposata - solo a causa delle pressioni sociali - con un uomo reduce dalla guerra e, dunque, psicologicamente instabile, Margret svela a poco a poco decisione e fermezza, nel tentativo costante di difendere la sua famiglia e quella che chiama effettivamente “casa”.
Un cast notevole
Ron Howard decide di affidare Eden a un cast di tutto rispetto. A tal proposito ha dichiarato: “Solo quando ho trovato il momento giusto nella società e un cast che fosse entusiasta di partecipare ho trovato la forza di andare avanti”.
Friedrich Ritter è Jude Law, che presta il proprio fascino a un uomo arrogante e utopista, mentre Vanessa Kirby interpreta Dore Strauch, la moglie malata di sclerosi multipla.
Daniel Brühl e Sydney Sweeney (punta di diamante del film) sono invece Heinz e Margret Wittmer: lui ex militare, compromesso dai traumi di guerra vissuti in passato; lei una giovane donna sposatasi per necessità disposta a trasferirsi sull’isola con il marito e il figlio di lui affetto da tubercolosi.
Un cast decisamente interessante che, però, non regala grandi emozioni. Pecca forse la sceneggiatura (firmata da Noah Pink) che, attenendosi al realismo fedele delle testimonianze, ostacola l’empatia e impedisce di simpatizzare con le vite dei protagonisti.

Anche stavolta Ron Howard sceglie una storia vera, obbligandoci a riflettere sulla natura umana e a porci domande esistenziali con un certo valore storico ed etico.
Cosa faremmo noi al posto dei personaggi di Eden? Riusciremmo, stoici, a mantenere un’integrità morale e le nostre idee o cederemmo agli istinti più primitivi in nome di una sopravvivenza individuale ed egoista?