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Il crunch time, un fenomeno ormai diffuso nel mondo videoludico

di Redazione Hynerd.it

Pubblicato il 2018-10-19

L’imminente uscita di Red Dead Redemption II, che ricordiamo essere fissata per il giorno 26 Ottobre, porta con sé l’ennesima polemica, questa volta legata ad una dichiarazione di Dan Houser, co-fondatore di Rockstar Games, sui tempi di lavoro richiesti per rispettare la scadenza programmata. A quanto è dato di sapere, sembra che l’impegno da assolvere …

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L’imminente uscita di Red Dead Redemption II, che ricordiamo essere fissata per il giorno 26 Ottobre, porta con sé l’ennesima polemica, questa volta legata ad una dichiarazione di Dan Houser, co-fondatore di Rockstar Games, sui tempi di lavoro richiesti per rispettare la scadenza programmata. A quanto è dato di sapere, sembra che l’impegno da assolvere contemplasse ben 100 ore settimanali, rendendolo, di fatto, non sempre sopportabile, uno sforzo, pensandoci bene, decisamente oltre ogni buon senso.

In seguito, però, per non gettare benzina sul fuoco, il publisher e lo stesso Houser avevano sostenuto che tutto ciò era, in buona parte, frutto di volontariato e che non c’era stata nessuna costrizione. Ma un ex dipendente di Rockstar Games e di Telltale Games, un certo Job J Stauffer, raggiunto da Jason Schreier, uno dei redattori di Kotaku, dichiarava che fin dai tempi di GTA IV era come “lavorare con una pistola puntata alla testa”, senza nessuna sosta, neppure al Sabato e alla Domenica ed inoltre sotto un controllo costante.

Il fenomeno del cosiddetto crunch time (ossia accorciare il più possibile i tempi con un conseguente aumento delle ore di lavoro) è diventato, purtroppo, assai diffuso tanto da diventare una pratica standard sia nelle grandi software house che in quelle indie. Proprio per i sui effetti nocivi che produce sul fisico e sulla mente, già nel 2004 Erin Hoffman (compagna dello sviluppatore di EA Leander Hasty) con lo pseudonimo di EA Spouse aveva apertamente denunciato nel suo blog questo modo di lavorare per niente rispettoso delle necessarie pause.

Se l’obbiettivo è recuperare i tempi che per cause diverse si sono allungati oltre il programmato durante lo sviluppo del gioco e contenere contemporaneamente i costi, il crunch time non può essere considerato la panacea di tutti i mali, il solo modo, cioè, di intervenire. Occorre ripensare, quindi, un diverso approccio al problema, rispettando sempre quell’etica nel lavoro che sembra essersi persa in nome del profitto.

Il mondo videoludico non può rimanere indifferente, deve prenderne coscienza per trovare nuove formule di pianificazione al fine di evitare quella rincorsa affannosa che il mercato impone in modo frenetico alle varie case nel condensare le proprie uscite nei mesi più “caldi” dal punto di vista commerciale. Si tratta perciò di ridistribuire i prodotti lungo l’intero anno con adeguate campagne pubblicitarie capaci, così, di mantenere continuativo e alto l’interesse degli appassionati e in grado, a sua volta, di garantire un buon successo nelle vendite.

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