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Loot Box sotto attacco della Chiesa anglicana

di Redazione Hynerd.it

Pubblicato il 2019-09-20

La questione “casse premio sì – casse premio no” sembra proprio destinata a non trovare una soluzione definitiva viste le voci coinvolte a vario titolo nel dibattito. Di certo c’è che attorno ad un ipotetico tavolo delle trattative troveremmo diversi soggetti, dalle aziende proprietarie dei titolo messi sul mercato videoludico, alle istituzioni laiche e religiose, …

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La questione “casse premio sì – casse premio no” sembra proprio destinata a non trovare una soluzione definitiva viste le voci coinvolte a vario titolo nel dibattito. Di certo c’è che attorno ad un ipotetico tavolo delle trattative troveremmo diversi soggetti, dalle aziende proprietarie dei titolo messi sul mercato videoludico, alle istituzioni laiche e religiose, ai genitori e alle loro associazioni fino ai giocatori stessi, molti dei quali, non dimentichiamolo, sono minorenni. Trovare, dunque, un accordo che possa soddisfare tutti non è sicuramente facile considerati gli interessi e le responsabilità in gioco. Però c’è un punto sul quale in ogni caso bisogna essere intransigenti cioè quando ad essere coinvolti nel problema sono soprattutto i bambini ed è per questo che più se ne parla è meglio è, più voci prendono posizione, più il livello di guardia si alza in loro difesa.

Mi riferisco alle dichiarazioni di condanna nei confronti delle Loot Box, ultime in ordine di tempo, del dott. Alan Gregory Clayton Smith, vescovo anglicano britannico di Saint. Albans che, come riportato dal quotidiano The Telegraph del 15 settembre 2019, senza mezzi termini si è scagliato contro l’abitudine di certe aziende di «innondare i giochi con prodotti dannosi» e di «giocare d’azzardo con la vita dei bambini». Pertanto, ha chiesto al Governo misure concrete per vietarne la vendita in quanto i meccanismi di gioco legati alle Loot Box, che elargiscono oggetti digitali randomizzati, diventano con il trascorrere del tempo, per chi ne faccia uso, «autostrade per il gioco d’azzardo». Ma la sua critica si è spinta più in là quando il prelato ha dichiarato che «i giochi dovrebbero essere un luogo di avventura e scoperta, non un veicolo per fare profitto a spese dei bambini». 

Tutto ciò in sintonia con il pronunciamento del Digital, Culture, Media and Sport Committee in cui sulla base di indagini effettuate in questo campo emergono i rischi associati alle casse premio – non sono ovetti Kinder come qualcuno le ha paragonate – e alle microtransazioni in genere tra cui quello psicologico di dipendenza dal gioco d’azzardo. Cresce quindi la necessità, non solo nel Regno Unito, di rivedere questo aspetto particolare che talvolta si incontra in un videogioco che non è affatto trascurabile, indipendentemente dall’età dell’utilizzatore, ma che riveste ancor più importanza se chi ne fruisce è un bambino, una persona dal punto di vista psichico più fragile di un adulto. Avvilente sarebbe dopo lo scalpore della notizia che tutto finisse nuovamente nel dimenticatoio e si ritornasse come prima.

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