In principio dovevano essere Annette Bening (fresca di successo dopo il suo American Beauty) e la star di Buffy l’ammazzavampiri Michelle Trachtenberg a vestire i ruoli delle due protagoniste nella nuova commedia targata Disney, dove madre e figlia finiscono all’improvviso l’una nel corpo dell’altra. Un’idea che porta un po' di sale alla sceneggiatura quando provinano il regista Mark Waters, deciso a muovere le acque trasformando il genitore in una bacchettona e l’adolescente in una ribelle rockettara.
Uno scambio di corpi senz’altro destinato a rimanere impresso grazie alla geniale mossa di scritturare Jamie Lee Curtis e Lindsay Lohan et, voilà. Nasce così il cult movie anni Duemila Quel pazzo venerdì, una piccola perla cinematografica – nonché comfort movie per i Millenial – che finisce piano piano con il conquistare tutti, pure il cineasta Quentin Tarantino.
Ora, a distanza di 22 anni dalla sua uscita, Nisha Ganatra raccoglie questa ricca eredità per portare nuovamente al centro dell’attenzione uno scambio di corpi quadruplicato con il suo spassoso Quel pazzo venerdì, sempre più pazzo.
Quel pazzo venerdì, sempre più pazzo: un nuovo scambio di corpi?
Dopo gli eventi raccontati nel primo capitolo dove una madre e una figlia finiscono con lo scambiarsi i propri corpi dopo aver letto una formula magica contenuto in un biscotto della fortuna, ritroviamo le due protagoniste alle prese con nuovi ostacoli.
Anna è diventata madre di un’adolescente, Harper, nonché manager di un business musicale, impiego assunto dopo che questa ha deciso di apprendere la sua chitarra e abbandonare il suo storico gruppo musicale per dedicarsi alla vita famigliare. Sua madre Tess continua a esercitare la sua professione di terapeuta, sebbene sia passata a scrivere libri e a comporre podcast.
Un giorno, un incontro fortuito farà conoscere Anna e lo chef inglese Eric portandoli dritti l’uno nelle braccia dell’altro, tanto da progettare un matrimonio. L’unica incognita sembra essere data dalle loro due figlie, Harper e Lily, due adolescenti che mal si sopportano e che non vedono di buon grado questa unione.
Quando però una indovina legge a loro le mani durante la festa di addio al nubilato (con tanto di incantesimo recitato), le quattro donne si risvegliano il giorno dopo in corpi diversi. Come fare per spezzare la maledizione prima del grande evento?
Il ritorno dei cult e delle commedie (ben scritte)
È sempre un azzardo girare un sequel di un film ricordato con affetto dal suo pubblico, in special modo se si tratta di un lungometraggio dei primi anni Duemila. D’altronde, la stessa Walt Disney ha potuto costatare in prima persona come l’effetto nostalgia spesso finisce con il rovinare la memoria di un’opera destinata fin dall’inizio a rimanere autoconclusiva, un esempio che si può ricollegare a due flop che rispondono al nome di Hocus Pocus 2 (2022) e Come per disincanto – E vissero infelici e scontenti (2022).
Eppure, sebbene siano passati anni dalla trasposizione cinematografica del romanzo A ciascuno il suo corpo di Mary Rodgers, la cineasta Nisha Ganatra (nota per le sue commedie come Cake, E poi c’è Katherine e L’assistente della star) riesce nell’impresa di riportare a galla un cult e di evolverlo, mirando dunque a un nuovo pubblico – la Generazione Z ma anche Alpha – e costellando lungo il suo percorso una serie di Easter egg destinati a fare breccia nel cuore dei Millenial.
Un passaggio tra passato e presente ben lampante in Quel pazzo venerdì, sempre più pazzo messo in evidenza dalla brillante sceneggiatura di Jordan Weiss: siamo nell’era digitale, dei social media e dei podcast, dove il senso di soffocamento di Tess nei confronti della figlia non si presenta più attraverso urla isteriche ma nel senso della comprensione (e nella cura di esplorare la psiche della primogenita attraverso la sua poca dimestichezza con la tecnologia).
Le due protagoniste interpretate ancora una volta da Jamie Lee Curtis e Lindsay Lohan si ritrovano a dover fare i conti con una nuova incognita: il tempo che scorre e l’invecchiamento. Sembrano passati decenni (per l’esattezza due) da quando madre e figlia riuscirono a trovare un punto di contatto dopo aver vissuto le rispettive vite, un senso di tolleranza e apertura verso i problemi l’una dell’altra che le ha spinte a capirsi e ad amarsi di più.
Il procedere dell’età e la maternità fanno da sfondo alle nuove vite delle due donne, destinate a subentrare l’una nella dinamica dell’altra per aiutarsi, capirsi. E non risulta strano come proprio il filo conduttore per aprire le porte allo scambio dei corpi parta proprio da un matrimonio, quello di Anna per l’esattezza, ricalcando con una certa nostalgia il periodo fruttuoso di Tess.

L’universo di questo body swap si allarga alle nuove generazioni, dando spazio alle emergenti leve interpretate da Sophia Hammons e Julia Butters (apparsa nei film C’era una volta a…Hollywood e The Fabelmans) di cimentarsi in un ruolo di primo piano. Sebbene alcuni dettagli della loro vita non vengano mai esplicitati, le due ragazze – destinate a diventare sorellastre – emulano quella che sembra essere la trama di Genitori in trappola all’incontrario: lo scambio di corpi, malgrado la reticenza, può essere visto per loro come l’unica soluzione per allontanare definitivamente i loro genitori.
È uno sguardo più profondo quello che viene fornito alla loro storia, due teenager in piena crisi adolescenziale che faticano a trovare un posto nel mondo. Un ostacolo che si presenta sotto forma della convivenza e della possibilità di abbandonare per sempre la terra di una delle due, in particolare l’Inghilterra (terra madre di Lily, dove risiedono i suoi ricordi con la madre defunta) o la California (su dispiacere di Harper).
Lo switch intrapreso tra le quattro – Anna nel corpo di Harper e viceversa mentre Tess nel corpo di Lily e viceversa – regala vibrazioni che ben si allontanano da quanto visto in passato: la ribellione presentata sotto forma rockettara lascia il posto a una visione più recente e attuale, data dall’ossessione per la moda o la semplice voglia di plasmarsi fra le onde del mare con la tavola da surf.
Le punte di diamante, Jamie Lee Curtis e Lindsay Lohan
Le vere punte di diamante sono però le due veterane, ossia Jamie Lee Curtis e Lindsay Lohan, intrappolate entrambe nei corpi di due liceali. Se per la prima è un gradito ritorno alla commedia dopo la sua vittoria agli Oscar con Everything Everywhere All At Once, per la seconda è sinonimo di rinascita dopo gli eventi dati dal suo rocambolesco passato.
Nonostante il passare del tempo il duo sembra non aver perso quell’affinità e chimica presente sin da Quel pazzo venerdì, conducendole a esplorare una nuova comicità, una vera e propria forma di slapstick che le pongono a scherzare sui loro difetti fisici; in particolare Curtis sembra divertirsi nel mettere in evidenza la sua vecchiaia a scapito dei canoni di bellezza stabiliti da Hollywood. Lohan invece, dopo essere ricomparsa sul piccolo schermo in tre commedie per Netflix, sembra essere ritornata ai tempi d’oro ossia quando era dipinta come un’icona adolescenziale grazie ai suoi tempi comici.
Le loro performance sono il punto trainante dell’intera pellicola che si sorregge quasi totalmente su di loro, un pregio dato dal fatto che in questo secondo capitolo condividono la maggior parte delle scene insieme (a differenza dell’originale). Un’affinità che le porta ad appoggiarsi – in termini di bravura – alle due giovani interpreti, capaci di prendersi il loro spazio sullo schermo senza farsi schiacciare dalle due dive.

Un buffet nostalgico dato dal ritorno di gran parte del cast originale, come Mark Harmon nel ruolo del premuroso marito di Tess o Chad Michael Murray in quelli dell’ex cotta adolescenziale di Anna, dove in questo film ricopre un ruolo chiave per le due giovani ragazzine. La loro è un’entrata in scena trionfale, sebbene il punto focale dell’intera vicenda sia data da uno sguardo femminile.
Quel pazzo venerdì, sempre più pazzo esplora nuove tematiche che si slegano da quanto visto in passato: non è soltanto il capire cosa voglia dire mettersi nei panni di una persona ma comprenderne il suo stato d’animo, la sofferenza, il dolore e il lutto. È un’accettazione del tempo che scorre inesorabile, del lasciare andare i ricordi di un passato lontano e di aprirsi alle opportunità che ci vengono fornite. Della scoperta dell’amore, sia in campo amoroso che familiare.
Non tutto funziona e alcune sottotrame potevano essere sviluppate in modo migliore, ma la magnifica fotografia di Matthew Clark e il suo modo di catturare la straordinaria lucentezza e bellezza della California meridionale e la potente colonna sonora prevalentemente femminile (non dimentichiamoci il ritorno del gruppo fittizio Pink Slip) ci conferma che sì, alle volte Walt Disney sa come fare un ottimo lavoro con i suoi sequel.