Salta al contenuto

The Smashing Machine, Recensione: la rinascita artistica di Dwayne Johnson

Per Dwayne Johnson, The Smashing Machine rappresenta il trampolino per un futuro dominato da opere impegnative e drammatiche.

Recensione di 

The Smashing Machine di Benny Safdie

Contenuto della recensione

È un grande balzo in avanti quello compiuto dal regista Benny Safdie, arrivato a concorrere alla 82. Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per la prima volta da solo dopo la separazione artistica dal fratello Josh. Un cinema indipendente, il loro, che punta a estrapolare con la loro macchina da presa alcune delle storie più emozionanti ed avvincenti dell’ultimo periodo cinematografico.

Non fa eccezione il suo esordio da solista The Smashing Machine con protagonisti Dwayne Johnson ed Emily Blunt, una storia vera che punta a mettere sotto la lente di ingrandimento le vicissitudini del lottatore di arti marziali miste Mark Kerr. Un film che, a forza di colpi e incassi sul ring, è riuscito a conquistare al Lido l’ambito Leone d’argento per la miglior regia.

La forza e la fragilità di un pioniere della storia delle MMA

Ambientato tra gli anni Novanta e Duemila, The Smashing Machine pone al centro dell’attenzione la figura del campione di lotta libera e MMA Mark Kerr (Dwayne Johnson), wrestler all’apice della sua carriera la cui prima sconfitta sul ring lo portano ad assaporare il significato di perdita e caduta - sia fisica che mentale - conducendolo all’interno di un tunnel dimorato da oppioidi e continue liti con la moglie Dawn Staples (Emily Blunt).

Solo la paura di una sua possibile prematura morte induce l’uomo a trovare il coraggio di riprendere in mano la sua vita e la sua carriera, portandolo per la prima volta a confrontarsi con le sue debolezze e la sua parte più fragile.

Una scena dal film, The Smashing Machine.

The Smashing Machine e la rinascita cinematografica di Dwayne Johnson

Era il lontano 2008 quando sullo sfondo di Venezia il nuovo lungometraggio firmato da Darren Aronofsky dal titolo The Wrestler ricevette il plauso della critica e del pubblico, un lavoro certosino che ha portato il cineasta a stringere tra le mani l’ambito Leone d’oro. D’altronde, il mondo del pugilato e della lotta libera è un argomento succulento che spesso finisce per catturare l’attenzione di numerosi registi, il cui fine principale mira a far risplendere almeno per un’ultima volta i riflettori su determinate stelle del campo sportivo.

Quello messo in scena da Mickey Rourke è solo uno dei tantissimi esempi di celebrità che hanno dato linfa a personaggi che combattono davvero sul ring per fama, sete di successo e gloria, una carriera che finisce presto per logorarli e consumarli del tutto. Dal Rocky di Sylvester Stallone fino ad arrivare al dramma biografico The Warrior: The Iron Claw dove viene mostrata la nascita e la caduta della dinastia dei Von Erich, quello della lotta libera è un mondo che trova sempre modo di dare voce ad alcune stelle che sono riuscite a far brillare in alto il loro nome.

The Smashing Machine è certamente la prova del nove per il regista Benny Safdie, la cui volontà di dar voce a uno dei rappresentanti massimi di arti marziali miste lo hanno condotto a occuparsi in prima persona di numerosi aspetti tecnici come la sceneggiatura e il montaggio (tra gli altri).

Ma è certamente la scelta curiosa del suo protagonista a garantire un alto livello di testosterone: per Dwayne Johnson la pellicola rappresenta la sua più grande sfida all’interno di un ruolo drammatico e impegnativo, lui che da sempre si è contraddistinto e ha costruito la sua carriera cinematografica all’interno del genere comico (approdando il più delle volte anche all’interno di vari blockbusters). Un nome altisonante, che riecheggia ancora nel WWF per mano del suo ring name The Rock, un mondo che lo avvicina e lo porta a incanalare la forza distruttrice ed emotiva del collega Mark Kerr.

Emily Blunt e Dwayne Johnson in una scena del film, The Smashing Machine.

Attraverso frammenti di un piccolo arco narrativo la macchina da presa si trascina sulle gesta del lottatore Kerr, colui che per primo ha lasciato un segno indelebile nella storia delle MMA. È una cinepresa – quella di Safdie – che punta a ritrarre gli aspetti più umani del lottatore, portando di conseguenza Johnson a lavorare di sottrazione: è la sua intensità, l’incapacità di risultare caricaturale a far emergere il lato più compassionevole del suo personaggio, sfregiato dalla sua prima sconfitta e divorato dai demoni che lo accompagnano nel privato.

A fronte delle scene di combattimento (esaltanti e adrenaliniche) The Smashing Machine sembra voler portare in primo piano l’animo corrosivo del suo protagonista, una bomba a orologeria pronta a esplodere nel momento in cui la sua vita si ritroverà a pezzi. Le debolezze che emergono in un successivo momento – date dalla sua nuova dipendenza dall’eroina e a quell’impedimento che gli permetta di creare quel distacco tra la sua immagine di uomo invincibile sul ring da quello più frangibile – lo portano a cercare conforto nelle braccia del suo migliore amico/allenatore Mark Coleman, una figura che si distacca per sentimenti dalla moglie del primo.

Quello di Emily Blunt è infatti un personaggio che, a primo acchito, risulta a tutti gli effetti enigmatico dal punto di vista dello spettatore: la sua Dawn è irascibile ma al tempo stesso sofferente, incapace in numerosi momenti di abbracciare il dolore del compagno. Certamente la chimica tra i due attori è altamente percepibile in scena – solo quattro anni prima hanno lavorato insieme in Jungle Cruise – elevando l’opera grazie alle loro straordinarie performance.

Se dalla sua parte The Smashing Machine ha il pregio di una colonna sonora e una fotografia che richiama lo stile degli anni ’90, a peccare è proprio la regia (e la sceneggiatura) di Safdie: a differenza di quanto visto in passato insieme al fratello Josh, la pellicola sembra troppo concentrata a diluire il più velocemente possibile gli episodi più significativi della carriera del lottatore senza tuttavia rimanere impressa nella mente dello spettatore.

È una storia lineare che fatica a far emergere quel pathos, quella sensazione di grandezza e distruzione che permane nella figura di Kerr. Un’opera che si appoggia solo ed esclusivamente sulle interpretazioni di Dwayne Johnson ed Emily Blunt, capaci di innalzare una pellicola altrimenti povera di contenuti (e sfortunatamente non memorabile come altri sport movie del passato).

The Smashing Machine

Recensione diSonia Modonesi, fin da piccola i film della Walt Disney mi hanno spinto a credere in me stessa e a perseverare nei miei sogni.

L'esordio cinematografico da solista di Benny Safdie ci conduce all'interno di un mondo caratterizzato da massicce dosi di testosterone e pugni sul ring, regalandoci l'incredibile storia del pioniere delle arti marziali miste Mark Kerr. Si tratta di un'opera che mette al centro dell'attenzione la più significativa quanto emozionante performance di Dwayne Johnson, messo finalmente a nudo da ogni suo sentimento; ad affiancarlo la collega Emily Blunt, sua compagna enigmatica. La pellicola è confezionata su misura dei due attori protagonisti, sono loro e i diversi stati d'animo che li travolgono a sostenere l'intera narrazione, altrimenti povera di contenuti e facilmente memorabile da un punto di vista tecnico.

Sezione commenti

Commenti
Benvenuti nella nostra sezione commenti!Si prega di leggere e comprendere le Linee Guida della Comunità prima di partecipare.