logo

Everything Everywhere All at Once, Recensione – La folle danza della vita

di Mattia Loiacono

Pubblicato il 2022-10-08

La recensione di Everything Everywhere All at Once, il secondo lungometraggio dei The Daniels sull’assurdità del multiverso

article-post

Con Everything Everywhere All at Once, la coppia di registi formata da Daniel Kwan e Daniel Scheinert, meglio conosciuti come The Daniels, ci portano in un viaggio all’interno del multiverso, sottolineando le fragilità del minuscolo universo che ognuno di noi ha dentro di sé. Il film ha riscosso in America un enorme successo, tanto da diventare la produzione A24 con più incassi di sempre ed ha trovato in critica e pubblico un riscontro unanime decisamente positivo. Considerando che Everything Everywhere All at Once è solamente il secondo film in cabina di regia per questi due ragazzi, ci sentiamo di dirvi: “Attenti a quei due”.

Alla scoperta del multiverso

Evelyn Wang è una donna cinese trasferitasi in giovane età in America insieme a Waymond, suo marito. I due, quali hanno anche una figlia di nome Joy, sono proprietari di una lavanderia che si trova sul piano sottostante a quello del loro appartamento. Evelyn ha tanti talenti ma, concentrando tutta sé stessa sugli affari di famiglia, non è mai riuscita ad affinarne nessuno. Questo per lei è un grande peso ed inizia a dubitare della vita che ha scelto di avere.

Tra problemi finanziari della lavanderia, un matrimonio in bilico con Waymond ed un rapporto conflittuale con figlia e padre, Evelyn viene trascinata in una questione molto più grande di lei, una lotta all’interno del multiverso che finirà per cambiare radicalmente tutta la sua vita ed il suo modo di vivere l’istante.

Niente ha importanza

Everything Everywhere All at Once pone la propria asticella ad un livello superiore: non solo vuole porsi come film definitivo sul multiverso, ma vuole anche essere il film definitivo sulla scoperta dei micro-universi dentro noi stessi. Senza grossi dubbi, ci riesce.

Il film è suddiviso in tre parti: la prima (Everything) si concentra, oltre che ad un’introduzione generale ben gestita sulla famiglia di Evelyn, sulla scoperta e sul funzionamento del multiverso; la seconda (Everywhere) si concentra sulla conseguenza che questa scoperta ha su Evelyn, la quale fa salire a galla ogni fragilità, dubbio ed oppressione che la donna riserva per la propria vita attuale, gettandola in uno stato di confusione e rassegnazione nei confronti di tutto ciò che è e la circonda; la terza (All at Once) invece mostra la reazione della donna agli avvenimenti, il cambio radicale nel modo di vedere le cose.

Dietro la comicità, le scene action e l’assurdità della messinscena, Everything Everywhere All at Once si dimostra come un’opera incredibilmente personale e, paradossalmente, muta sé stesso dall’essere un film sull’immensità del multiverso ad essere un film esistenziale sul singolo, piccolo ed apparentemente insignificante universo che Evelyn ha dentro di sé. Un viaggio che indossa la maschera dell’assurdità comica per celare la tristezza (e la bellezza) di essere vivi e di essere ciò che siamo.

L’unico neo in questa vastità concettuale che ci propone Everything Everywhere All at Once si può riscontrare sul versante fantascientifico del film, che se nella prima parte ci mostra un incipit con rimandi supereroistici e di minacce globali, nella seconda parte perde questa sfumatura, lasciando che la minaccia globale si percepisca esclusivamente come una minaccia in versione familiare.

Everything Everywhere All at Once è già un cult

Tecnicamente il film è a dir poco spettacolare e si incespica nei meandri dell’assurdo multiverso creato con maestria e agilità. La regia dei The Daniels è stupefacente e, considerando che è solo il loro secondo lungometraggio, Everything Everywhere All at Once lascia ben sperare per altri loro prodotti futuri. Il montaggio sicuramente aiuta molto lo stato di vivacità e velocità su cui viaggia il film, due elementi fondamentali per quel che si vuole fare.

Il cast lavora all’unisono per un viaggio in cui essere affiatati era fondamentale: dall’empatia con lo spettatore creata da Michelle Yeoh, alla comicità/thriller di Jamie Lee Curtis, fino a Jonathan Ke Quan e Stephanie Hsu nei rispettivi ruoli di Waymond e Joy. Tutto e tutti si muovono in sintonia a servizio di una danza folle del multiverso.

A proposito di danza e movimenti, non si può non sottolineare l’incredibile lavoro svolto sulle coreografie dei combattimenti, perfettamente in linea con le scelte stilistiche del film. Scelte assurde ed impensabili, ma che proprio per questo regalano allo spettatore la sensazione di essere minuscolo rispetto a ciò che è Everything Everywhere All at Once, rispetto a ciò che è il multiverso. O semplicemente a ciò che è la vita.

8

Everything Everywhere All at Once, secondo lungometraggio in cabina di regia per i The Daniels, stupisce in tutto e per tutto. La maschera comica del multiverso cela tutta la carica emotiva di una vita vissuta, mettendo in mostra tutte le fragilità dei minuscoli universi che vivono dentro ognuno di noi. La messinscena si sposa perfettamente con delle scelte stilistiche che fanno dell'assurdità il proprio punto di forza. L'unico neo riguarda il lato fantascientifico, che pone inizialmente il multiverso in una situazione di minaccia globale, una sensazione che lo spettatore con il passare dei minuti non coglie più.

Seguici anche su:

Iscriviti alla Newsletter

Seguici su Google News

Potrebbe interessarti anche