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Il giardino delle vergini suicide: uno degli esordi più promettenti di Hollywood

Il giardino delle vergini suicide: uno degli esordi più promettenti di Hollywood

Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola torna al cinema dal 6 maggio. Era il 1999 quando la pellicola fu proiettata per la prima volta nelle sale cinematografiche e oggi, in occasione dei 25 anni dall’uscita, la Cineteca di Bologna la ripropone in versione restaurata in 4K.

Nel corso di questo quarto di secolo, Sofia Coppola è diventata un’istituzione con la sua inconfondibile estetica pop/glamour, già evidente da Il Giardino delle vergini suicide, che nel frattempo si è consacrato come un vero e proprio film cult. La fotografia patinata, la colonna sonora con brani dei Bee Gees o dei 10cc, e la messa in scena di un’eterna, intatta e complicata adolescenza l’hanno reso un film iconico. Vediamo insieme perché Il giardino delle vergini suicide può a buon diritto essere considerato uno degli esordi più promettenti di Hollywood.

Il giardino delle vergini suicide

Come nasce Il giardino delle vergini suicide?

All’età di 27 anni Sofia Coppola legge per la prima volta il romanzo The Virgin Suicides, scritto nel 1993 da Jeffrey Eugenides. Lo scrittore aveva preso ispirazione da una storia realmente accaduta nel suo quartiere. Nel 1998 scriverà una sceneggiatura da proporre a Muse Productions che però aveva già affidato a Nick Gomez lo script. Grazie poi al sostegno del padre, Francis Ford Coppola, e dell’American Zoetrope, Sofia potrà dirigere la pellicola. Il Giardino delle vergini suicide sarà presentato nella Quinzaine des Realisateurs al 52° Festival di Cannes, dove avrà un riscontro positivo prima dalla critica e poi dal pubblico.

Una tragedia funesta

La sceneggiatura ricalca naturalmente la trama del romanzo. Sullo sfondo di un’America casta e puritana degli Anni ‘70, a Detroit vive una famiglia bigotta e oppressiva, che assiste alla prematura -e apparentemente ingiustificata- morte delle cinque figlie: Lux (Kirsten Dust), Bonnie (Chelse Swain), Therese (Leslie Hayman), Mary (Andrea Joy Cook) e la più piccola Cecilia (Hanna Hall).

Il giardino delle vergini suicide

Il giardino delle vergini suicide inizia con una scena in cui Cecilia, la sorella minore, tenta di tagliarsi le vene nella vasca da bagno utilizzando un santino. Lo psicologo, interpretato’ da Danny DeVito, consiglia ai genitori di stimolare la vita sociale della ragazza e così la famiglia Lisbon organizza una festa nella propria casa. È questo il momento in cui, la prima delle vergini si toglie la vita. Cecilia si butta dalla finestra, concretizzando il presagio di morte presente dall’inizio della pellicola. I genitori, folli e marmorei, obbligano le quattro figlie a vivere una vita di privazioni, costringendole ad una solitudine che le porterà alla perdita di senno.

La narrazione di un’adolescenza edulcorata e disincantata

Sofia Coppola non ha certo bisogno di presentazioni. Figlia di Francis Ford Coppola, è riuscita a crearsi una propria firma distintiva, che la distinguesse dalla sacra cinematografia di suo padre. E Il giardino delle vergini suicide è già il tripudio e l’apoteosi di quelli che saranno i suoi film successivi. Un’involucro estetico patinato, arricchito dal suo contenuto.

Il giardino delle vergini suicide

Già dall’esordio emerge quel tema adolescenziale tanto caro alla Coppola: Maria Antonietta sarà un giovane austriaca alle prese con pasticcini e cagnolini, Priscilla una ragazzina strappata alla sua giovane età per inseguire il re del rock… Tanti personaggi che condividono la fatica di compiere un passaggio, quello alla vita adulta; e se Maria Antonietta e Priscilla sono costrette a farlo, poiché strappate dalla loro adolescenza, le cinque vergini non approderanno mai alla maturità, rimanendo incastrate in un’eterna giovinezza, chiuse in una bolla di cristallo che le fa sentire annoiate, tristi e sole.

Perché Il Giardino delle vergini suicide è un cult?

Oltre alla tematica, la messa in scena è quella propriamente “coppoliana”. La fotografia lumininosa e dai colori accentuati, che nasconde una storia sofferta. Quel suo sguardo pop nella narrazione di un’adolescenza edulcorata e disincantata. Il gusto per il glamour, quasi anni 2000. I silenzi e l’ossessione per gli sguardi. La volontà di trasmettere, attraverso la macchina da presa, l’incomunicabilità. E poi c’è la musica inconfondibile del duo francese AIR. C’è poi una giovanissima Kirsten Dunst, che si consacrerà come attrice anche nei film successivi della Coppola.

Il giardino delle vergini suicide

Alla fine non ci interessa dare una spiegazione plausibile alla pellicola. Il film rimane volutamente enigmatico, generando reazioni pietrificate. Assistiamo solo ad una delicata introspezione psicologica, allo spaccato di una turbolenta adolescenza, ad una velata sessualità e all’impossibilità e all’impotenza di crescere. Questo consacra una figlia d’arte che già da giovane elabora una propria messa in scena, destinata solo ad evolversi e a maturare.