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Babysitter, Recensione – Oltre la commedia

di Mattia Loiacono

Pubblicato il 2022-08-19

Babysitter di Monia Chokri è un’interessante commedia psicosessuale che coinvolge lo spettatore grazie alle sue particolari contaminazioni

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Babysitter, secondo lungometraggio in uscita su MUBI della poliedrica attrice e regista canadese Monia Chokri, è l’adattamento cinematografico della pièce teatrale di Catherine Léger ed è stato presentato al Sundance Film Festival 2022. Il film ha colpito molto la critica della Mostra ed ha confermato l’incredibile versatilità di Monia Chokri, un talento in rotta verso la maturazione che riesce ad equilibrare elementi cinematografici apparentemente agli antipodi. Inoltre, Babysitter è frutto di una collaborazione tra Canada e Francia, due Paesi che negli ultimi anni stanno finalmente risalendo la china e che stanno dimostrando al mondo del cinema come poter ribaltare le gerarchie.

La virilità tra sorrisi e riflessioni

Cédric ed i suoi colleghi di lavoro si recano ad un incontro di UFC e, con il proprio modo di fare “macho” e “virile”, iniziano a bere, ad urlare ed a provocare qualche ragazza presente allo stadio. Preso dall’entusiasmo della serata, Cédric si avvicina alla telecronista dell’incontro dandogli un bacio in diretta nazionale, scatenando un dibattito sul sessismo in tutta la città del Québec che lo perseguiterà.

Mentre il protagonista tenta di risolvere il problema indagando su sé stesso, sua moglie Nadine vive un momento di difficoltà con la figlia neonata e per questo decidono di chiamare una particolare ed attraente babysitter che darà loro modo di esplorare il proprio rapporto e la propria identità.

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Una commedia che trascende il genere

Uno dei punti forti di Babysitter è sicuramente la sperimentazione di elementi grammaticali appartenenti a generi cinematografici visti come agli antipodi ed alla contaminazione tra generi, anche attraverso un lavoro citazionistico a tecniche care ad una diversa tipologia di cinema.

L’essenza comica del film risiede principalmente nei dialoghi che vedono come protagonista Cédric, studiati a tavolino per restituire allo spettatore la spontaneità e l’ingenuità di un uomo che non ha più idea di cosa sia giusto e cosa sbagliato e che improvvisamente si fa qualche domanda sulla propria natura. La comicità però risiede anche nel fratello di Cédric, l’esatto opposto del protagonista, con un apparente morale femminista in precario equilibrio e pronta a traballare davanti ad una riflessione più profonda o, più semplicemente, davanti ad una bella donna. In generale però, si può dire che è proprio questo stato di insicurezza dell’uomo sulla propria moralità, e la conseguente ricerca di essa, a far sorridere lo spettatore.

Come dicevamo però, Babysitter è anche molto di più che una semplice commedia, infatti sono estremamente frequenti i rimandi all’horror classico attraverso stili di ripresa e tecniche care al genere, come ad esempio accade con i numerosissimi crash zoom presenti nel film. In più, la regista gioca e gestisce spesso le ombre, le luci ed i riflessi come se stesse quasi girando un film noir, oltre ad alcune sequenze citazionistiche agli anni ’70-’80 che sembrano spot dell’epoca.

Una corsa contro il tempo

Babysitter ha una durata di 87 minuti, poco meno di un’ora e mezza, e se da un lato funziona proprio per questo, dall’altro, inevitabilmente, deve correre velocissimo. Il film gode e subisce di questa rapidità, ottenendone come vantaggio la freschezza e la frenesia, due elementi colonne portanti dell’opera, ma anche lo svantaggio di non poter approfondire alcuni elementi, soprattutto nella costruzione dei personaggi che spesso risultano piatti e bidimensionali, nonché troppo semplificati.

Al contrario però, gli interpreti sono tutti perfetti per il ruolo e riescono nel sempre difficile compito di adattare un’opera teatrale al cinema. Su tutti spiccano Patrick Hivon nel ruolo di Cédric, molto simpatico nel personaggio e dotato di un viso “buca-schermo”, e Nadia Tereszkiewicz nei panni della babysitter Amy, giovane e affascinante attrice francese in grado sia di far sorridere lo spettatore che di mettergli paura.

Visivamente Babysitter è una gioia per gli occhi ed il lavoro alla regia di Monia Chokri è degno di nota: tra le contaminazioni che vi abbiamo esposto qualche paragrafo fa, l’armonia nella rappresentazione e la perfetta geometria con cui il profilmico si presenta nel quadro, il film vive e si nutre continuamente di un’estetica sopra la media. Ad aiutarlo in questo compito c’è anche la fotografia, che riesce a passare da momenti colorati e particolarmente saturati a momenti di ombra “totale” senza risultare incoerente con sé stessa e con il prodotto.

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Riflettere, ma non troppo

Babysitter riesce nel difficile compito di trattare in modo equilibrato argomenti delicati come la misoginia e l’identità sessuale, permettendo allo spettatore una riflessione personale sui temi, ma ricordandogli (e ricordandosi) sempre che sta guardando una commedia. Difatti, il film non vuole porre una spiegazione a tali atteggiamenti, non vuole dare una risposta a nessuna delle domande che lo spettatore si formula mentre guarda il film e non vuole dispensare giudizi su quali atteggiamenti siano giusti e quali siano sbagliati.

L’interessamento di Babysitter alla sfera psicosessuale è sicuramente uno degli aspetti più intriganti del film e seppur, come detto prima, i personaggi soffrano di una visione troppo didascalica e semplificata, la riflessione sulla natura intrinseca dell’uomo, ma anche della donna, rimane in primo piano. Infatti, mentre Cédric è alle prese con la propria coscienza e con lo studio della propria eterosessualità, il rapporto tra Amy e Nadine sfocia in una complessa relazione di influenza identitaria che ricorda, a livello prettamente citazionistico, Persona di Bergman.

Il secondo lungometraggio di Monia Chokri riesce quindi in un duplice compito: sia quello di intrattenere con una commedia vispa e vivace dall’estetica accesa e minimale, e sia quello di trasferire tutte le domande e le incertezze di Cédric all’interno della mente dello spettatore, che non deve guardare al film come fosse la risposta, ma più come la domanda.

7.5

Babysitter, secondo lungometraggio di Monia Chokri, celebra la versatilità e la maestria della propria regista attraverso un'interessante ed equilibrata contaminazione tra generi differenti. Il film non ha il tempo necessario per poter approfondire i personaggi, che risultano troppo piatti e bidimensionali, ma gli interpreti sono perfetti e valorizzano una commedia dall'animo vivace e ribelle, che lascia riflettere senza perdersi in moralismi e senza dimenticare la comicità.

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