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Pleasure, Recensione – Il volto oscuro del porno

di Christian Sensi

Pubblicato il 2022-06-25

Ninja Thyberg ci conduce nel controverso dietro le quiente dell’industria pornografica

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Da sempre, parallelamente all’industria cinematografica ordinaria, se ne muove una silenziosa ma anche maggiormente pervasiva, ostracizzata in pubblico e esaltata nel privato. Stiamo naturalmente parlando di quella pornografica. La pellicola di debutto della regista svedese Ninja Thyberg, Pleasure, tratta dall’omonimo cortometraggio della regista stessa e disponibile su MUBI, si propone proprio di esplorare le ombre di un mondo di cui conosciamo solo una maschera, cioè la parte patinata e destinata ai consumatori. Dietro a questo laboratorio di edonismo però, si nasconde un microcosmo spesso caratterizzato da zone d’ombra, misoginia e sfruttamento dei corpi.

Il cinema mainstream ha già in passato accolto pellicole ambientate nell’industria pornografica, basti pensare a Boogie Night di Paul Thomas Anderson, tuttavia, a differenziare il film in oggetto dagli altri, è il punto di vista esclusivamente delle attrici, scelta che ha permesso di disvelare efficacemente dinamiche e meccanismi in larga parte vissuti e comprensibili appieno solo dalle donne.

Benvenuti a Los Angeles

Come già accennato, seguiamo la vicenda dal punto di vista della protagonista Linnéa, 19enne svedese appena trasferitosi a Los Angeles, con l’intento di fare una rapida carriera nel mondo del porno con il nome d’arte di Bella Cherry. La grinta e l’ambizione tuttavia, si scontrano ben presto con la realtà nuda e cruda di un mondo talmente competitivo, da dover stringere spesso compromessi con sé stessi e la propria moralità, la consensualità consapevole dello sfruttamento, e la rinuncia alle proprie inclinazioni e desideri sessuali, una vera e propria dissociazione fra sessualità professionale e privata. In Pleasure ci vengono mostrati tutti i lati e tutte le dimensioni della produzione pornografica, da quella meramente prestazionale alla tutela legale della troupe, dai rapporti con colleghi e produttori, fino alla contrattazione di diversi fetish con i quali la protagonista si trova a misurarsi. In tal senso la pellicola è estremamente informativa, complice anche il taglio quasi documentaristico della regia. Al termine della visione lo spettatore ha una panoramica globale del dietro le quinte della pornografia, per quanto filtrata dall’occhio della protagonista e, di rimando, da quello della regista.

La trama di Pleasure scorre piacevolmente, ma non senza qualche intoppo. La protagonista Linnéa, per quanto degnamente caratterizzata e con un ottimo approfondimento psicologico, presenta uno sviluppo a tratti fin troppo sbrigativo, trovandosi spesso a compiere scelte radicali senza un’adeguata preparazione nelle scene precedenti, disfacendo rapporti che sembravano consolidati e cementificandone di nuovi. Tuttavia, al netto di una sceneggiatura un po’ meccanica sotto quest’aspetto, l’effetto spiazzamento si configura come funzionale alla narrazione, fungendo da rilevatore della potenza inglobante del sistema nel quale la protagonista ha scelto autonomamente di entrare, pagando il prezzo della mortificazione e della riduzione del proprio corpo a strumento del capitale. Un luogo nel quale se si vuole sopravvivere, si è volenti o nolenti costretti a scendere a compromessi con la propria etica e morale, anche al costo di sopraffare il prossimo e voltare la faccia a chi fino ad un momento prima era l’affetto più prossimo.

L’industria pornografica diviene così metafora del capitalismo più sfrenato, ove i corpi divengono di volta in volta merce o mezzo di produzione a seconda delle esigenze del mercato. Una centrifuga alienante nel quale non vi è posto per le individualità e vi è quasi una scissione fra il proprio io più profondo e quello visibile. Lasciando da parte il parallelismo, uno degli aspetti più riusciti del film è proprio il modo in cui racconta l’effetto dissociativo prodotto da certi meccanismi sulla psiche di chi il porno lo fa sulla propria pelle, che si trovano quasi inevitabilmente a scindere la propria soggettività d’individuo complesso dal personaggio unidimensionale esclusivamente da sessualizzare. Scissione che, tuttavia, talvolta ha ripercussioni nella vita privata, a causa dello stigma sociale che grava in generale sulle sex workers e dall’incapacità di una certa fetta di pubblico di scindere il personaggio dalla persona.

Pleasure

Un duro lavoro

Pleasure si propone anzitutto come prodotto di denuncia nei confronti di un mondo in cui le posizioni di potere sono occupate prevalentemente da uomini, amplificando le dinamiche misogine e maschiliste che ancora sopravvivono nel resto della società, e dove il confine fra abuso sessuale e prestazione lavorativa è spesso piuttosto labile. In effetti è questa l’anima che emerge con maggiore prepotenza nella pellicola, riuscita efficacemente nel suo intento. Il racconto è crudo e non fa sconti di nessun tipo. Paradossalmente, quel che ci si sarebbe aspettati di vedere in modo esplicito e senza edulcorazioni, cioè i rapporti sessuali, vengono invece suggeriti e rappresentati implicitamente, ma senza per questo perdere forza nell’estetizzazione. La scelta di concentrarsi principalmente sul dietro le quinte e sulla preparazione delle scene hard, piuttosto che le scene vere e proprie, si rivela coerente con il discorso sulla scissione: il sesso pornografico è finzione.

Purtroppo, con l’obiettivo di dare forza alle tematiche, il microcosmo che ruota attorno alla protagonista risulta a volte un po’ artificioso. I personaggi, esclusa Linnéa e la sua migliore amica, sono affetti da un’eccessiva bidimensionalità e dicotomia, restituendo alcune sequenze al confine del didascalico. Nonostante questo, la sceneggiatura è comunque godibilissima e funzionale, presentando anche picchi di raffinatezza e sensibilità, quali i dialoghi ben congegnati e con molteplici sottotesti, oltre che precise prese di posizioni anti-stereotipiche.

Interessante anche il rapporto che Pleasure riesce a instaurare con lo spettatore. Quest’ultimo, in particolare se consumatore di pornografia, si sentirà spesso colpevole e connivente, senza però una dialettica moral/giudicante. Questo, unito alla buona mole informativa, lascerà alla fine della visione la sensazione di conoscere meglio il mondo dell’industria del porno, oltre che aver compiuto un percorso di autoconsapevolezza e autoriflessione, come individui e come parte della collettività.

Questo mi ricorda qualcosa

Punto di forza della pellicola è senza ombra di dubbio l’estetica. Questa riprende in larghissima parte quella delle produzioni porno professionali. Ritroviamo quindi una fotografia patinata che riesce a funzionare ed adattarsi senza tradirsi nei momenti più drammatici e introspettivi e che si fonde alle scenografie prese di peso da un certo tipo d’immaginario collettivo, come ad esempio ville e feste sontuose che riportano direttamente a Playboy.

Anche la regia attinge parzialmente da quella pornografica, ma mutando in una chiave autoriale che a volte tende al pretenzioso. Ottima invece in quelle fasi dove assume un taglio semi-documentaristico. In ogni caso, alla sua prima prova con un lungometraggio Ninja Thyberg si è comportata egregiamente, nonostante ripetiamo qualche eccesso stilistico di troppo.

Sofia Kappel, qui al suo debutto nei panni della protagonista, se l’è cavata ottimamente, riuscendo a calarsi in un ruolo abbastanza ostico per una debuttante. È corroborata anche da un fisic du role attinente all’universo nella quale si muove, in grado d’unire una bellezza tipicamente nordica ai canoni estetici della pornografia plasmati in larga parte dal pubblico americano. Il resto dal cast proviene direttamente dal porno, lavorandoci ai vari livelli, dagli attori ai produttori. Questi si mostrano piuttosto a loro agio e si ha l’impressione che si siano anche divertiti, cosa non scontata data la natura di Pleasure. Naturalmente la loro recitazione a livello strettamente tecnico è a dir poco altalenante, ma si amalgamano comunque discretamente al contesto e all’intento caricaturale dei rispettivi personaggi.

7.8

Il primo film di Ninja Thyberg convince ma con delle riserve, attestandosi comunque come una buona prima opera prima d’un ampio respiro maggiore dei corto/mediometraggi. Pleasure aggiunge effettivamente qualcosa all’argomento in questione. La sceneggiatura ha la tendenza ad inciampare non poi troppo di rado, ma presenta comunque momenti riusciti e scelte oculate. Stilisticamente emula sapientemente il mondo che si prefissa d’esplorare e riesce a trovare una propria coerenza estetica. Alcune note e momenti tradiscono una certa pretenziosità, oltre che qualche incertezza nella scrittura dei personaggi, controbilanciata comunque da ottimi dialoghi e un buon lavoro sulla psicologia della protagonista Linnéa.

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