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Cuphead, Recensione – L’antiquato fascino del vintage

di Riccardo Scolari

Pubblicato il 2023-02-17

L’approdo sul mercato videoludico di Cuphead è equiparabile ad un fulmine al ciel sereno, inaspettato quanto visivamente sbalorditivo.

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Sono bastati una manciata di secondi di montaggio, infilati all’interno della clip con i titoli indie in arrivo su Xbox One mostrata durante la conferenza E3 di Microsoft nel 2014, per ammaliare e stuzzicare la curiosità di pubblico e critica. Un bizzarro shooter ficcato all’interno di un vero e proprio cartone animato dell’epoca, un’estetica tanto ammaliante quanto suggestiva, che ha reso Cuphead uno degli argomenti clou della manifestazione.

Dopo anni di ritardi ed incertezze, Cuphead arriva finalmente sul mercato nel 2017, passando da incantevole miraggio a realtà. La favola dei fratelli Chad e Jared Moldenhauer inizia nel lontano 2012, dopo la visione di Indie Game: the Movie, documentario incentrato sullo sviluppo di tre videogiochi indipendenti: Super Meat Boy, Fez e Braid.

Il documentario fa ravvivare nei due fratelli canadesi una fiamma assopita, ma mai definitivamente estinta. Negli anni successivi si susseguono una sequela di sperimentazioni, le quali portano alla creazione di un team indipendente, denominato Studio MDHR.

La loro ossessiva dedizione miscelata alla passione viscerale verso i videogiochi old school e i cartoon degli anni ’30, ha trasformato un sogno giovanile idilliaco in un prodotto che ha lasciato un indelebile impronta nel mercato.

Dietro lo strabiliante talento dello Studio MDHR c’è anche la terza mano Moldenhauer, ossia Maja, la moglie di Chad. Anch’essa amante dei cartoni dell’epoca, ha traboccato la sua passione per i suddetti nel progetto, divenendone un punto cardine. Dopo questa doverosa premessa, andiamo adesso a catapultarci nelle profondità di Cuphead, un gioco che ha già fatto la storia.

Cuphead: la favola di due tazzine birichine

La storia si svolge sull’arcipelago delle isole Calamaio, ove due giovani fratelli gemelli, Cuphead e Mugman, vivono assieme a loro nonno, Nonno Bricco. Un giorno, mentre stanno gironzolando allegramente per l’isola, finiscono accidentalmente al Casinò del Diavolo. Una volta giuntivi, iniziano ad accumulare una vittoria dopo l’altra, destando la curiosità del manager del locale, Re Dado, il quale chiama il proprietario in persona, Satanasso.

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Cuphead e Mugman all’interno del casinò di Satanasso

Il diabolico proprietario propone ai due fratelli tazzina una scommessa: un altro tiro buono ed avranno accesso a tutte le ricchezze del casinò, altrimenti dovranno concedergli le loro anime. Cuphead casca nel tranello ingegnato da Satanasso, spinto dalla sua sfrenata golosità.

Le due tazzine terrorizzate dal destino che le aspetta, chiedono un’alternativa al Diavolo per ripagare il loro debito. Satanasso accetta e costringe i due, entro la mezzanotte del giorno seguente, a recuperare le anime degli altri debitori sparsi per le isole, altrimenti le loro finiranno nelle sue grinfie.

La narrazione di Cuphead è molto semplice e lineare, fungendo da premessa per tutto ciò che accadrà da lì a breve. Sebbene, al suo interno si celi una critica verso il gioco d’azzardo e di come esso, spinti dall’illusione di conseguire una ricchezza spropositata, finisca per rovinare la vita delle persone e dei loro cari.

Il ritorno all’apogeo dell’animazione

Gli anni ’30 hanno rappresentato l’età d’oro dell’animazione americana, periodo nel quale i fratelli Fleischer e Walt Disney stavano gettando le basi per ciò che il genere sarebbe divenuto un giorno, con l’utilizzo di tecniche rivoluzionare e la creazione di personaggi tra i più iconici di sempre, come Topolino e Betty Boop. I fratelli Moldenhauer hanno magistralmente incanalato il loro attaccamento per i cartoni animati dell’epoca all’interno di Cuphead, con la creazione di un comparto artistico monumentale, unico nel suo genere.

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Alcuni degli sketch di Cuphead

Tutto, dalle immagini all’audio, è stato realizzato con le medesime tecniche dell’epoca, passando dalla tradizionale animazione cel-shading disegnata a mano su un numero indefinibile di fogli, utilizzando uno stile che rievoca le inchiostrazioni artigianali, a sfondi acquerellati, che fanno da cornice ad animazioni sublimi, con personaggi indicibili contraddistinti da movenze esagerate e transizioni straordinarie, ed infine alle registrazioni jazz dell’orchestra dal vivo, le cui tracce teletrasportano il videogiocatore nel grigiume newyorkese di quegli anni.

Progressivamente, frame dopo frame – 24 al secondo per l’esattezza, interpolati su un framerate a 60fps per non rinunciare alla componente videoludica – sono riusciti nell’impresa di ricreare un immaginario ormai andato perduto, un autentico tuffo nel passato, per farci assaporare l’estetica vintage di un’epoca lontanissima dalla nostra.

Tre parole d’ordine: saltare, schivare e sparare

Il fiore all’occhiello della produzione del team dello Studio MDHR è rappresentato dal gameplay, il vero fulcro dell’esperienza di gioco. Cuphead e Mugman devono viaggiare attraverso le isole Calamaio, con una mappa realizzata ricalcando quella di Super Mario World, per sconfiggere tutti i 28 paventatissimi boss a suon di proiettili d’energia, in uno sparatutto action in 2D. Il gameplay si ispira a piene mani ad alcun dei classici videoludici di quel genere, come l’ormai leggendario Metal Slug, inserendolo però all’interno di un contesto deliziosamente diverso.

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Cuphead e Mugman alle prese con il boss Cala Maria

Ognuno dei boss presenti è contraddistinto da un aspetto bizzarro e stravagante, oltre a move set variegati ed il connubio tra questi due aspetti regaleranno singolarità ad ogni combattimento. Oltre a rimanere estasiati dal loro look e dall’estetica dello scenario all’interno del quale si svolge lo scontro, la difficoltà è l’aspetto che più lascerà di stucco chi si approccerà al titolo, non proibitiva ma tutto fuorché una passeggiata.

È essenziale imparare a mena dito tutti i pattern dei sunnominati, ma sopratutto è indispensabile non demoralizzarsi e tirare la fiacca. L’unica cosa su cui possiamo contare sono le nostre abilità, oltre a degli oggetti caratterizzati da un colore rosa, i quali, se parati attraverso il pulsante del salto, faranno incrementare la barra della super, così da sferrare al nemico di turno un attacco portentoso.

Ad interrompere le ardue e innumerevoli boss fight, ci saranno dei livelli in pieno stile “corri e spara”, all’interno dei quali è possibile ottenere delle monete, scovabili anche negli anfratti segreti dell’arcipelago, le quali sono spendibili presso l’Emporio Cotechino, dove potremo ampliare e personalizzare il nostro arsenale, in base al proprio stile o al nemico da affrontare. Inoltre è disponibile una modalità co-op in locale, nella quale è possibile affrontare l’infernale ascesa al risarcimento del debito insieme ad un vostro amico.

Il successo e la lode planetaria riscossa da Cuphead ha portato Netflix a trasporre il titolo del team canadese in una serie animata, denominata “The Cuphead Show”. Infine vi ricordo che Cuphead è disponibile per tutte le piattaforme, ed anche, tenetevi forte, per i software delle automobili elettroniche Tesla. Lasciatemi adesso ad un’ultima ma non meno importante premura, “Don’t paste with the Devil”.

9

Cuphead raffigura il sogno infantile dei fratelli Moldenhauer, un desiderio chimerico che si è tramutato in una incantevole realtà. L'unione delle loro impetuose passioni ha sfornato un vero e proprio gioiello, con una direzione artistica fuori scala ed un gameplay scattante e soddisfacente. Un titolo infarcito di citazioni e omaggi ad un'epoca ormai decorsa, ma che grazie al suo ricordo rimarrà immortale per l'eternità.

  • Direzione artistica sublime: unica nel suo genere e tra le migliori degli ultimi anni
  • Gameplay dinamico e intuitivo
  • Boss con character design stravaganti e move set variegati
  • I livelli "corri e spara" sanno lievemente di copia e incolla

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