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Moonfall, Recensione – La Luna secondo Emmerich

di Christian Sensi

Pubblicato il 2022-03-17

La Luna non è quello che sembra

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Roland Emmerich è considerabile senza ombra di dubbio uno dei più iconici registi dei disaster movie. Nel bene e nel male, si sa sempre cosa aspettarsi dalle sue pellicole, grazie all’adozione di una formula rodata, per quanto non esente da criticità tutt’altro che trascurabili.
Tuttavia, gli va dato atto di avere a volte delle buone intuizioni, per quanto spesso la messa in atto lasci a desiderare. Non è un caso che il suo Stargate (1994) divenne un cult all’epoca, nonostante una sceneggiatura manchevole, dando vita a tutta una serie di progetti (da serie TV a romanzi) che ne espandevano l’affascinante world building dal potenziale inespresso.
Questa volta il regista con Moonfall ci ripropone un disaster mover dalle forti tinte sci-fi, con ambizioni da primo capitolo di una trilogia. Scopriamo se questa volta uno dei registi di punta del genere, è riuscito ad offrire qualcosa in più della mera distruzione su scala planetaria.

Tre gruppi e una Luna


Le premesse e il concept di Moonfall sono in realtà abbastanza interessanti. Questa volta, lo strumento dell’apocalisse prescelto proviene direttamente dallo spazio, più precisamente tramite la Luna. Questa è infatti misteriosamente uscita dalla propria orbita, e si trova in caduta libera verso la Terra, portandosi con sé tutti i cataclismi del caso. Ben presto si scoprirà che la causa scatenante è da ricercarsi da quel che è nascosto nel suo lato oscuro e la sua reale natura, diversa da quella comunemente conosciuta.


Come le sceneggiature di Emmerich ci hanno ormai abituato, seguiremo tre punti di vista differenti. Il primo è quello di un’improbabile coppia, costituta da Brian Harper (Patrick Wilson), un ex astronauta della NASA radiato in seguito ad un incidente causato proprio dal segreto sulla Luna, e Houseman (John Bradley), un complottista le cui strambe teorie sulla Luna e lo spazio si scopriranno avere un fondamento di verità. Nel secondo filone narrativo seguiamo la direttrice della NASA Jo Flower (Halle Berry), impegnata in un braccio di ferro con l’esercito nella risoluzione della crisi. Infine l’onnipresente vicenda dei civili, in cerca di un luogo sicuro in cui avere qualche chance di sopravvivere.
Vengono perciò riutilizzati tutti gli ingredienti della sceneggiatura media di questo genere di pellicole, e in particolare quelli del regista in questione. Abbiamo lo scemo del villaggio con un proprio arco di rivalsa, un forzatissimo gruppo di civili multietnici, il militare buono, quello cattivo e quello ambiguo. Il tutto condito da una sana dose di famiglie burrascose da tenere unite.

Déjà vu


Ci troviamo insomma di fronte all’ennesimo intreccio prefabbricato, tremendamente prevedibile e infarcito di cliché. I personaggi sono degli stereotipi viventi senza nessun tipo di sviluppo e approfondimento psicologico degno di tale nome. Gli scambi di battute sono involontariamente ilari, dato che sono stereotipicamente prevedibili. Non ci troviamo purtroppo di fronte ad un momento di autoconsapevolezza, nel quale Emmerich invita lo spettatore in un gioco autoreferenziale. Si tratta senza mezzi termini di povertà nella scrittura. Potrebbe però paradossalmente essere apprezzata dai feticisti dei disaster movie dallo stampo classico, con tutti i limiti del caso.
Persino un personaggio potenzialmente interessante come Houseman è stato sprecato. Esplorare a fondo la psicologia ed empatizzare con una tipologia di persona spesso descritta e rappresentata in maniera stereotipata, in particolare in questo complessissimo periodo storico, oltre che stimolante, avrebbe potuto essere un modo per umanizzarla e restituirci dei pezzi di complessità della realtà talvolta tralasciati. Ci troviamo invece di fronte al solito emarginato che si ritrova quasi per caso ad essere l’eroe che ha sempre sognato.


L’intera sceneggiatura si regge precariamente su tutta una serie di forzature narrative e buchi di trama irricevibili anche spingendo al limite la sospensione dell’incredulità. I rapporti fra i personaggi e la loro caratterizzazione di carta velina, non permettono di empatizzare sufficientemente e struggerci nei momenti che dovrebbero avere sulla carta una fortissima carica emotiva, quest’ultimi basati interamente su una melensaggine stucchevole, contenuta in scene che tentano chirurgicamente d’emozionare lo spettatore. Il climax peraltro si risolve tramite un deus-ex machina artificioso, che cerca (fallendo) in tutti i modi di risultare suggestivo e affascinante.

Moonfall

Ha potenzialità ma non si applica


Come già evidenziato, Emmerich, al netto della pochezza narrativa dei suoi film, riesce spesso ad avere buone intuizioni, e Moonfall non è da meno.
L’idea alla base non manca certo d’attrattiva, e si ravvisano più di un elemento con potenzialità purtroppo sprecate. Anche la reale natura della Luna, non manca di fascino e avrebbe potuto rappresentare un’ottima base per la costruzioni del world building e background narrativo. In effetti ne viene delineato un abbozzo (che prende d’ispirazione da alcuni reali teorie pseudo-scientifiche), peccato che sia veicolato tramite uno spiegone forzatissimo e che rientra in quel fallimentare tentativo di creare un immaginario visivo e concettuale suggestivo.

La volontà di piazzare i tasselli di una tanto sperata trilogia è palpabile, ma le fondamenta in questo caso, oltre che mal piazzate, sono inserite in un progetto posticcio e mal congegnato. Tale dichiarazioni d’intenti risulta fin troppo plateale e pretenziosa, anche a causa di un cliffhanger finale non solo incapace di veicolare curiosità e suscitare interesse per un eventuale sequel, ma intriso di una banalità che sarebbe risultata tale anche se il film fosse uscito decenni fa.
In definitiva la sceneggiatura di Moonfall è disastrosa, i cui difetti e mancanze sono esacerbate dal suo prendersi tremendamente sul serio.

Non ho un dottorato in fisica, ma ho dei dubbi


Quantomeno il ritmo è discretamente gestito man mano che si ci avvicina al climax. Il montaggio diviene sempre più serrato alterando i vari punti di vista, restituendo tutto sommato efficacemente allo spettatore il pericolo e la posta in gioco. Il lavoro in questo senso però viene rovinato dalla pochezza delle singole scene e la povertà narrative delle tre linee. Su tutte spicca negativamente quella legata ai civili, ancora più fallimentare delle altre. Da un lato non ha a che fare direttamente con l’unico elemento d’interesse del film, cioè la Luna e il suo segreto, configurandosi quindi nella massa dei disaster movie senza arte né parte.

Dall’altro, alla mera distruzione, Emmerich cerca timidamente di prevedere la reazione della società ad un evento di tale portata, mostrando il lato più egoistico e al contempo cooperativo della natura umana. Purtroppo anche in questo caso il tutto pecca di pretenziosità, con una rappresentazione del panico di massa limitato a banali saccheggi e il formarsi di simil-bande.


Dal punto di vista dell’accuratezza scientifica non abbiamo ovviamente le competenze per giudicarla nel dettaglio, ma alcune scene sono palesemente sfidanti ogni tipo di legge fisica, e il film ha dichiaratamente pretese di validità in tal senso. La parvenza di scientificità è restituita semplicemente dall’inserimento di qualche termine fisico e astronomico. Quello su cui però abbiamo la certezza è che tradisce ripetutamente la sue stessa logica interna, anche nella trattazione degli elementi più squisitamente sci-fi.

Moonfall

Siamo vivi?

Tecnicamente Moonfall è in linea con il resto della filmografia di Emmerich. La regia è tendenzialmente anonima e priva di guizzi, ma riesce a dare del suo meglio nelle scene di distruzione e spaziali, riuscendo talvolta persino a restituire immagini relativamente suggestive. Ci sono delle trovate sceniche nella parte finale che tentano di restituire un sapore onirico. Risultano però asettiche, complice anche una fotografia non eccezionale in queste sezioni. Nel resto delle scene quest’ultima risulta senza arte né parte e po’ smorta, quando invece avrebbe potuto giocare molto di più con i cromatismi.

La CGI è convincente, in particolare quella di un elemento fondamentale (che non possiamo rivelarvi per evitare possibili spoiler). Però a volte si ha la sensazione che in certe scene siano stati messi in atto espedienti per ridurne strategicamente il minutaggio. Tuttavia esteticamente quest’ultimo è molto piacevole, sintomo di una art direction tutto sommato ispirata, che si esprime anche nelle architetture sci-fi. Peccato che non sia efficacemente valorizzata dalla messa scena e dalla sceneggiatura.
La colonna in sonora è la tipica dei disaster movie, piacevole e adeguata, ma senza presentare tracce memorabili o dalle sonorità originali.
Le performance attoriali risultano incatenate dalla povertà nella scrittura dei personaggi, presentando delle note gradevoli, come nel caso di John Bradley, sufficientemente goffo e socialmente inibito, e picchi negativi, più per le sopracitate problematiche di scrittura, che per demerito esclusivo del cast.

4.5

Moonfall è il solito e piatto disaster movie medio, che spreca tutto il potenziale a causa di una sceneggiatura pessima e l’incapacità di utilizzare sapientemente gli elementi messi nel pentolone. La pretenziosa e il prendersi sul serio acuiscono le sue criticità, sia per quanto concerne la trama che la coerenza, interna e scientifica. Le interessanti intuizioni non sono state trattate con la dovuta complessità, trattamento riservato anche al resto delle componenti che avrebbero potuto salvare in corsa la pellicola dal fallimento totale. Purtroppo le basi per una trilogia sono molto precarie, e i deludenti incassi registrati negli Stati Uniti non fanno ben sperare per il sequel desiderato da Emmerich. Alla fine della visione resta solo una profonda amarezza nei confronti di quel che avrebbe potuto essere con una gestione narrativa più assennata e maggiore furbizia nell’uso di quegli elementi intrisi di un naturale fascino.

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