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Open world: la grandezza paga?

di Naomi Rusciano

Pubblicato il 2022-04-26

Il bivio degli Open World: quantità o qualità?

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Ci risiamo. Periodicamente nel settore videoludico ci si interroga circa gli open world e la longevità dei videogiochi, e se questa possa essere considerata sinonimo di qualità.

Questa volta a scatenare la discussione è stato Patrick Bach, managing director di Ubisoft Stockholm, il quale chiacchierando con gamesindustry.biz ha spiegato il progetto Scalar. Secondo Bach, i videogiochi odierni sono troppo limitati dalla tecnologia, sebbene si parli di un settore che abbia sempre cercato di essere all’avanguardia. Con Scalar si potranno sviluppare dei videogiochi più grandi, più simili a delle pagine web e, proprio come queste, più facile anche da supportare e modificare. Durante la chiacchierata, però, Bach commenta:

“Abbiamo bisogno che i videogiochi siano più grandi? No. Alcuni giochi trarranno profitto grazie alla loro longevità? Sicuramente. Dipende dal gioco e dall’obiettivo dello stesso e dei suoi creatori. Nessuna parte di un gioco dovrebbe essere guidata dall’idea che “di più, è meglio”.

Non si può che non essere d’accordo con le parole di Bach, eppure c’è qualcosa in quest’affermazione che fa storcere il naso a chi la legge. In effetti, Ubisoft è una delle più grandi aziende di produzione videoludica che negli ultimi anni ha fatto sua la regola “di più, è meglio”.

Ubisoft, tu quoque?

Se siete dei gamer incalliti, sicuramente conoscerete howlongtobeat, un sito web dove vengono riportate le ore effettive per completare un gioco (sia che si parla di trama, che di completismo al 100%). Per curiosità, siamo andati ad analizzare i dati di due delle saghe Ubisoft più famose, Assassin’s Creed e Far Cry, per vedere come la durata effettiva dei giochi si sia evoluta.

Open World in Valhalla
Assassin’s Creed Valhalla

Partendo da Assassin’s Creed ed analizzando l’ultima trilogia uscita, ovvero quando il titolo ha deciso di reinventarsi e diventare un’adventure open world con elementi GDR, la longevità dei titoli è aumentata di capitolo in capitolo: per Origins ci vogliono 84 ore per completarlo al 100%, per Odissey si parla di 139 ore e per Valhalla 136 (il quale, però, sta ancora ricevendo degli aggiornamenti continui con ulteriori contenuti).

Per quanto riguarda la saga di Far Cry, in media per completare un gioco si spendeva dalle 10 alle 30 ore; per l’ultimo capitolo, Far Cry 6, ci vogliono 56 ore circa.

E per la qualità? Se si analizza la media dei voti su Metacritic, si può vedere che mentre la saga di AC mantiene un punteggio di 80/100 (ma il voto più basso lo ha ottenuto proprio il gioco più longevo), per Far Cry vi è una netta differenza di voti tra i capitoli precedenti della saga, con una media dell’80/100, e l’ultimo capitolo che ha ottenuto 73/100.

Open world: bene o male?

Con questo non si vuole trasmettere il messaggio che l’open world sia il male assoluto e dovrebbe essere eliminato dai videogiochi; anzi, è una caratteristica molto interessante che rende il gamer protagonista assoluto della storia perché lui (o lei) può decidere in che modo proseguire o a cosa dare priorità. Anche la vastità delle mappe di gioco sono uno stimolo incredibile agli occhi, perché fa venir voglia di esplorare i paesaggi che non sono solo rilegati allo sfondo e perché ti fa sentire parte del mondo di gioco.

Con l’open world, l’utente smette di osservare una storia che si snocciola davanti ai suoi occhi e compiendo delle azioni premeditate; il giocatore diventa parte integrante del videogioco stesso che prende delle diramazioni differenti a seconda delle scelte e di come queste vengono compiute.

Open World in Horizon
Horizon Forbidden West

Lo stesso accade per due titoli current-gen usciti nell’ultimo periodo: Elden ring e Horizon Forbidden West. In questi due giochi si possono riscontrare delle mappe molto vaste e sebbene per completare al 100% si possa facilmente superare la soglia delle 90 ore, non ci si annoia mai. L’open world è ricco, denso di missioni da giocare, di NPC caratterizzati tra loro e che riescono a fornire al videogiocatore ulteriori stimoli per completare la loro missione. Girovagando per la mappa ci si può imbattere in un boss che potrebbe fornire il materiale necessario per farmare una determinata arma o scovare un posto segreto (magari gli easter eggs di che la Sony ama tanto aggiungere). L’open world risulta essere stimolante, pieno di missioni e di momenti che spingono il giocatore a non abbandonare il capitolo una volta conclusa la storia principale, ma di esplorare, di conoscere gli altri personaggi secondari.

Un open world che risulta essere un’aggiunta vincente per entrambi i capitoli, eppure si differienza nel modo in cui è stato pensato. In Horizon Forbidden West, i punti di interesse possono essere visualizzati sulla mappa a priori dell’esplorazione effettuata dal giocatore; questi, inoltre, possono essere sbloccati grazie anche ai vari Collilunghi presenti (ricordando la funzionalità dei punti di sincronizzazione di Assassin’s Creed).

In Elden Ring, l’open world è completamente da esplorare ed è tutto nelle mani del giocatore. La mappa è ridimensionata ad essere soltanto un mezzo di cui il giocatore si avvale per esplorare e per aggiungere manualmente i punti di interesse.

Open world in Zelda
Zelda Breath of the Wild

Questa caratteristica si rifa al pluripremiato gioco di Nintendo, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, esclusiva uscita nel 2017 e che ha regalato all’open world un fattore che mancava da tantissimo tempo: il divertimento e il piacere della scoperta nell’esplorazione.

Il problema si pone quando alla vastità della mappa e del gameplay, le software house rispondono con scarsità di contenuti o con la ripetitività degli stessi.

Molte volte l’aggiunta dell’open world sembra un dettaglio superfluo, come per esempio in Ghostwire Tokyo. Avete mai cercato di finire un gioco al 100%? Chi scrive questo articolo ci ha provato con la saga di Assassin’s Creed, e si deve ammettere una verità assoluta: completare i giochi al 100% può essere veramente noioso. Sempre le solite missioni che si ripetono, il dover andare freneticamente in vari punti della mappa opposti e lontani tra loro, dover parlare a NPC con dei dialoghi che non aggiungono nulla alla caratterizzazione dei personaggi e, infine, la miriade di collezionabili inutili sparsi ovunque e nei posti più improbabili della mappa.  

In conclusione…

Avere un gioco tra le mani lungo e stimolante è il sogno di tutti i giocatori. Le software house dovrebbero essere invogliate a creare degli open world ricchi di missioni e di luoghi da esplorare, e non a ridurre il gioco a delle continue ripetizioni che si perpetuano per più di 50 ore in uno spostamento dal punto A al punto B, e che molte volte non corrispondono nemmeno all’ottenimento di un beneficio tangibile. Bach ha proprio ragione quando dice che non sempre “di più, è meglio”.

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