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Ghostwire: Tokyo, Recensione – Tokyo sotto assedio

di Daniele Dituri

Pubblicato il 2022-03-29

Ghostwire: Tokyo, opera ultima di Tango Gameworks ci catapulta in una Tokyo spiritica con il compito di salvare la città da una catastrofe soprannaturale

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Ghostwire: Tokyo è l’ultimo lavoro sviluppato da Tango Gameworks, sviluppatori dei due capitoli di The Evil Within, e pubblicato da Bethesda su PlayStation 5 e PC.
Questa volta veniamo catapultati in una Tokyo assediata da una minaccia soprannaturale che attinge artisticamente appieno dal folklore nipponico. La formula scelta è quella di un open-world in prima persona, nel quale affrontare gli yokai tramite l’ausilio di poteri donati da un ospite con il quali, volenti e nolenti, il protagonista si troverà costretto a convivere.

Chi chiamerai?

Ghostwire Tokyo

La trama di Ghostwire: Tokyo non si può certo definire magistrale o innovativa. Riesce però nell’intento di raccontare tematiche molto pesanti come la morte e la sua accettazione in modo minuzioso e interessante.
All’interno della storia impersoneremo Akito, giovane ragazzo intento ad andare a trovare la sorella malata in ospedale. Durante il tragitto avviene però un attacco sovrannaturale che spazzerà via tutta la popolazione e numerosi spettri invaderanno i quartieri di Tokyo.
Akito si ritroverà ad essere l’unico sopravvissuto, questo grazie allo spirito di KK che si rifugerà nel suo corpo donandogli poteri elementali.
I due dovranno imparare a convivere assieme per poter risolvere il problema comune che infesta la capitale giapponese.


Durante il dipanarsi della trama incontreremo pochi personaggi ma caratterizzati con cura, in particolar modo i due protagonisti, i quali sono raccontati pian piano durante l’avventura, e presentano un’evoluzione coerente e soddisfacente ai fini della trama.
Se i personaggi sono riusciti, non si può dire lo stesso della main story. Questa infatti entra nel vivo fin da subito presentando non pochi elementi d’interesse, ma subisce una battuta d’arresto nella parte centrale, risultando abbastanza noiosa e monotona.
Per fortuna le ultime ore di gioco alzano nuovamente il livello, donandoci momenti emotivamente alti e un mondo affascinante.

A me il potere!

Il combat system si basa principalmente sull’utilizzo dei tre poteri elementali: aria, acqua e fuoco.
Si può usufruire anche di un arco, che non dona però lo stesso feedback soddisfacente dei poteri e molto probabilmente i giocatori si ritroveranno ad utilizzarlo solo se privi di magia, relegandolo ad un ruolo marginale.
È presente anche un classico sistema di sviluppo del personaggio, che consente di potenziare le skill a suon di punti abilità accumulati. Questo però non risulta particolarmente incisivo, e non dona una tangibile crescita.


Gli yokai nemici sono molto vari, e seppur non siano contraddistinti da un’intelligenza artificiale eccelsa, riescono comunque a donare un adeguato livello di sfida.
Le boss fight invece si dividono in principali e secondarie. Quest’ultime saranno scarsamente differenziate, e consisteranno semplicemente in nemici leggermente più forti del normale. Le principali invece sono ben caratterizzate e costruite, sia nel design che nelle meccaniche d’approccio agli scontri.

Il gameplay, seppur divertente e stimolante, risulta però leggermente ripetitivo, ma non inficiando eccessivamente nella godibilità complessiva.
Il più grande neo è il bilanciamento degli utilizzi delle magie, ricaricabili strappando il nucleo agli yokai o distruggendo oggetti evidenziati di blu, che nelle ultime fasi di gioco scarseggiano e non sarà raro ritrovarsi senza efficaci strumenti offensivi.

Persi in città

L’open world, seppur bello da vedere, risulta superfluo. Non ci si sente incentivati a esplorarlo, limitandosi ad andare dal punto A a quello B a seconda della missione. In questo senso, snellire la componente legata al mondo aperto, o rimuoverla in toto, proponendo un’esperienza più lineare, avrebbe donato all’opera un miglior ritmo e pulizia.
Nel mondo troviamo poi moltissimi collezionabili, templi da purificare, combini dove rifornirsi e missioni secondarie.
Proprio quest’ultime ci hanno stupito in positivo, nonostante alcune risultino non troppo d’impatto e talvolta ripetitive, moltissime altre sono appaganti e piacevoli da svolgere.


La sola main story può essere completata in meno di 10 ore, ma svolgendo qualche extra non è complicato raggiungere le 15 – 20, mente per completare tutte le secondarie e trovare tutti i collezionabili sono richieste una trentina d’ore.

Una bella città

La vera forza di Ghostwire: Tokyo risiede però nella direzione artistica.
I vari quartieri di Tokyo sono stati realizzati in modo magistrale, gli interni esplorabili sono curati minuziosamente e il design delle creature sono di primissimo livello, in particolare quello dei boss e delle loro rispettive arene.
Il lavoro prende a piene mani dalla cultura giapponese, e crea un immaginario folkloristico in grado di titillare gli appassionati, e incuriosire anche i meno avvezzi culturalmente al Paese del Sol Levante.
Altri momenti visivamente riusciti dell’opera sono le varie visioni di Akito, alcune giocabili e altre relegate alle sole cutscene, che raggiungono l’apice qualitativo estetico.

Noi abbiamo giocato la versione PC, ed è stata testata su una configurazione di fascia media senza ray tracing.
Il gioco si comporta bene, riesce a girare anche su configurazioni non modernissime a dettagli massimi.
Con FSR su qualità ultra Ghostwire: Tokyo gira perfettamente nell’open world, con però delle magagne che compaiono nei luoghi chiusi con tante animazioni a schermo, in cui saranno presenti cali di frame abbastanza pesanti.
Impostando invece su prestazioni o equilibrato non sono stati riscontarti problemi di alcun tipo riuscendo, a superare i 60/70 fps senza grossi problemi.


La colonna sonora invece è di una buona qualità, senza però averci colpito particolarmente per nessuna traccia.
Per quanto la grafica sia di buon livello e gradevole, non si può certo definire il suo punto forte, e si sarebbe potuto fare decisamente qualcosa in più.
Il doppiaggio è impostato automaticamente in giapponese, ma è presente anche l’italiano. Nonostante questo non si possa definire pessimo, la versione nipponica è sicuramente di qualità più alta, e che aiuta maggiormente nell’immedesimazione.

7

L'ultima opera di Tango Gameworks si presentava con grandissimi auspici, non avendo però rispettato completamente le aspettative. Nel complesso ci ritroviamo davanti a un buon gioco, con alcune fasi davvero emozionanti, ma altrettante lente e noiose. Non si può definire però un fallimento, regalandoci uno degli art design più ispirati del panorama videoludico e un gameplay tutto sommato divertente.

  • Design generale stupendo e ricercato
  • Personaggi ben caratterizzati
  • Missioni secondarie di buon livello
  • Durata della storia e poca rigiocabilità
  • Open world superfluo

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