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Physical, Recensione della stagione 2 – Ribaltare le gerarchie

di Mattia Loiacono

Pubblicato il 2022-08-06

Termina la seconda stagione di Physical, serie Apple TV+ ambientata negli anni ’80 che si nutre dell’instabilità morale

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Dopo una prima stagione di discreto successo, Physical torna su Apple TV+ e porta a termine anche la sua seconda stagione. Se la prima stagione della dark comedy stupisce per il suo approccio anticonvenzionale e tagliente rispetto ai diversi (ed importanti) temi trattati, ma non convince nell’evoluzione dei personaggi, la seconda stagione riesce anche in questo, elevando la serie alla solita qualità a cui ormai Apple ci ha abituati e dimostrando ancora una volta come la piattaforma sia ormai una garanzia nella produzione di prodotti seriali.

L’evoluzione di Sheila

La seconda stagione di Physical prosegue nel racconto della storia di Sheila Rubin, una casalinga di San Diego degli anni ’80 che, dopo essersi appassionata all’aerobica, aspira a diventare una rivoluzionaria imprenditrice nel mondo del fitness.

Sheila ora, oltre a convivere con la bulimia, deve vedersela con nuovi vizi e ostacoli che minano la propria corsa al successo, ma, guidata da una nuova consapevolezza, è pronta a tutto per raggiungere i propri obiettivi. Sul suo percorso incontra Vinnie Green, il modello di business per eccellenza nel mondo del fitness, che la aiuterà a comprendere meglio sé stessa e le strategie da attuare in un mondo che non sembra volerla aiutare.

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Sheila Rubin e Vinnie Green

Questo significa usare la testa

Questa seconda stagione di Physical convince nettamente di più rispetto ad una prima che, per quanto avesse già mostrato le sue molteplici potenzialità, non è stata capace di affondare il colpo quando necessario, dimostrandosi un po’ acerba. Il team di lavoro dietro Apple TV+ e Physical però riesce con questa seconda stagione, attraverso intelligenza e perspicacia, ad aggiustare immediatamente il tiro ed a correggere ciò che non aveva ancora convinto.

Il primo miglioramento si nota nella scrittura di alcuni personaggi che nella prima stagione avevano un’evoluzione poco naturale e spesso piatta. Uno su tutti il marito della protagonista, Denny, che in questa stagione diventa molto più interessante grazie ad un cambiamento di rotta (quasi) radicale e ad uno sviluppo inaspettato che inverte alcuni stereotipi dell’uomo anni ’80 visti nella prima stagione. Anche la protagonista, Sheila, diventa un personaggio maggiormente incisivo rispetto alla prima stagione grazie alla nuova consapevolezza di sé stessa che la rende ancora più cinica e tagliente, capace di assestare il colpo vincente quando la serie lo richiede.

Da sottolineare anche il maggiore spazio ritagliato al disturbo alimentare di Sheila, la bulimia, che in questa seconda stagione di Physical assume molta più importanza. Il disturbo in questione, molto popolare in quegli anni, era sintomo di una società ossessionata nel seguire determinati schemi e canoni di bellezza, sopratutto per la figura della donna. Questo nella seconda stagione di Physical viene trattato in modo egregio, e se già nella season precedente ne avevamo un assaggio, adesso esplode in faccia allo spettatore senza l’uso di mezzi termini.

Rose Byrne al centro di tutto

In generale tutto il cast offre buone performance ed il casting risulta decisamente azzeccato anche dal punto di vista estetico, ma non si può non sottolineare il dominio di Rose Byrne. L’attrice riveste i panni della protagonista, Sheila, ed è semplicemente perfetta per il ruolo: il personaggio è controverso e porta lo spettatore in uno stato di confusione in cui non sa se amarlo o odiarlo a causa di alcuni suoi atteggiamenti immorali, e questo riesce soprattutto grazie a Byrne, capace di concentrare e poi restituire questa sensazione allo spettatore. Degno di nota anche Murray Bartlett nei panni di Vinnie Green, molto simpatico ed evidentemente molto divertito nel vestire i panni dell’icona anni ’80.

Physical, diretta per 8 episodi da Stephanie Laing e da Ban Lzarovits nel terzo e quarto episodio, è un’ottima rappresentazione in soggettiva di Sheila. La regia, principalmente concentrata sulla visione personale della protagonista, non ha momenti di grande espressività e virtuosità, ma è funzionale per l’ecosistema della serie ed insieme alla fotografia rendono riconoscibile l’impronta che gli autori volevano dare al mondo attraverso gli occhi della donna.

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Il precario equilibrio di Physical

Una grande qualità di Physical è la capacità di viaggiare sempre sul filo del rasoio, riuscendo a rimanere in equilibrio tra il troppo e il troppo poco, tra il morale e l’immorale, su quella sottile linea che separa il giusto dallo sbagliato. Come dicevamo prima, la seconda stagione riesce a sferrare diversi colpi vincenti, affondando il coltello lì dove la prima stagione non lo ha fatto o non ha avuto il coraggio di farlo e rendendo la serie sicuramente più vivace.

Il problema che si riscontra però è la costanza di questa spregiudicatezza che in qualche occasione viene a mancare. Difatti, le prime puntate della seconda stagione sono molto più intense rispetto a quelle della restante parte, che spesso invece abbassano il ritmo e tornano ad essere meno affilate e, considerando che la caratteristica principale di Physical è il suo essere pungente, trovare una maggiore continuità tra i 10 episodi sarebbe potuta essere la marcia in più.

In ogni caso, Physical è una serie anticonvenzionale a cui va data almeno una chance, sia per l’importanza dei temi trattati che per la scorrevolezza della visione visto che le puntate durano all’incirca 30-35 minuti. D’altro canto però, ha bisogno di uno spettatore predisposto ad una tipologia di serie che non fa sconti a nessuno e a cui non interessa il politicamente corretto, a cui piace giocare con la moralità dei personaggi e del pubblico, che si nutre della sensazione di “fastidio” e di “attrito” che può creare nello spettatore e la utilizza a proprio favore.

7

La seconda stagione di Physical è un netto passo in avanti rispetto alla prima. Migliorano lo sviluppo e la crescita dei personaggi, oltre ad un maggiore spazio dedicato ai disturbi alimentari. Lo show gioca con la moralità dei suoi personaggi e crea consapevolmente un rapporto conflittuale di amore ed odio con lo spettatore. L'intensità non è sempre costante ed alcuni episodi perdono pungente rispetto ad altri. In compenso, una perfetta Rose Byrne ipnotizza e domina la scena.

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