Ritorno a Seoul, Recensione – La difficoltà di ritrovarsi
Ecco cosa pensiamo di Ritorno a Seoul, opera del regista Davy Chou presentata in anteprima al Festival di Cannes 2022.
Dall'11 maggio 2023 è uscito nelle sale cinematografiche italiane Ritorno a Seoul, opera seconda del regista francese-cambogiano Davy Chou. Il film, nato da una collaborazione franco-tedesca-belga, è stato presentato ufficialmente nella sezione “Un Certain Regard” del Festival di Cannes 2022, mentre in Italia ha partecipato in anteprima tra i “Fuori Concorso” alla quarantesima edizione del Torino Film Festival.
La pellicola descrive, attraverso una regia sontuosa e puntuale, la complessa situazione di una giovane ragazza alla ricerca delle proprie origini, in perenne conflitto tra l'insostenibile pressione dei propri familiari e l'incessante desiderio di essere qualcun altro, in un vortice infinito di percezioni che pone inevitabilmente a confronto due modi di vivere totalmente differenti: quello occidentale – in realtà prevalentemente europeo – e quello orientale.
Tra Francia e Corea del Sud
Ritorno a Seoul racconta la storia di Freddie (Park Ji-Min), una ragazza appena ventenne nata in Corea del Sud, ma adottata e cresciuta da genitori francesi. Arrivata per sbaglio a Seoul durante un periodo di vacanza, decide di mettersi alla ricerca dei suoi genitori biologici, non conoscendo né il loro passato né le motivazioni che li hanno spinti ad abbandonarla. Si affida dunque, con l'aiuto di alcuni amici, al centro di adozione Hammond, che prontamente la mette in contatto con la sua famiglia sudcoreana.
La narrazione procede per salti temporali, raccontando tre periodi diversi della vita della protagonista: nella prima parte vediamo una Freddie ancora immatura, sicura di sé stessa, ma in fin dei conti troppo giovane per poter comprendere le dinamiche e le abitudini di un contesto diametralmente opposto rispetto a quello parigino e borghese in cui è cresciuta.
Oltre alle incompatibilità relazionali, che le impediscono di ambientarsi e di stringere legami con i suoi coetanei in Corea del Sud, sia il Ritorno a Seoul del titolo che il conseguente incontro con i tanto ricercati genitori biologici non sembrano portare ai risultati sperati. Se, da un lato, il padre (interpretato dal caratterista Oh Kwang-rok, comparso nella trilogia della vendetta di Park Chan-wook) si rivela essere un alcolizzato desideroso di instaurare a tutti i costi un rapporto con la figlia perduta da tempo, la madre – separata da anni dal marito – non accetta di rivederla e rifiuta qualsiasi tipo di contatto.
Ecco che, negli anni successivi, priva di un qualunque legame e alla costante ricerca di sé stessa, Freddie vaga libera per Seoul, con il solo obiettivo di scoprire chi è veramente.
Ritorno a Seoul, una profonda riflessione sull'essere
Il rapido scambio di battute tra la protagonista e la sua nuova amica Tena (Han Guka) durante la scena iniziale fornisce già un importante indizio su quale sarà il tema portante del film realizzato da Davy Chou. La musica coreana che Freddie ascolta quasi spaesata nei primi istanti di narrazione accompagna la giovane per tutta la durata del suo viaggio, come un impetuoso sentimento che si insinua nei ricordi e che, puntualmente, scandisce ogni singolo, fuggente attimo.
Eppure il dialogo con la cultura occidentale, quel modo di fare tipico di un'adolescente francese – che mal si sposa con le abitudini locali – è ormai una parte inscindibile della ragazza, per questo motivo, in Ritorno a Seoul, l'approccio al mondo orientale risulta essere estremamente complicato. L'insormontabile barriera linguistica rappresentata dal coreano sintetizza con semplicità e chiarezza l'impossibilità di ricongiungersi con le sue origini, così incredibilmente vicine e, allo stesso tempo, insostenibilmente lontane.
Anche il tentativo di elaborare l'abbandono dei genitori naturali è un vero è proprio trauma, un dolore straziante da tempo marchiato a fuoco nel passato della giovane donna, che prova a comprenderne le ragioni riversando sugli altri un tragico miscuglio di amore e indifferenza, sentimenti che, a conti fatti, sente di non aver mai ricevuto appieno. In tutto questo la regia restituisce visivamente una Seoul fredda, distaccata, quasi asettica, che paradossalmente ha molto in comune con una Francia offuscata e assente, soltanto rievocata attraverso i ricordi e le parole dei personaggi principali.
Esattamente come la città, ogni aspetto del carattere di Freddie rimane sopito, ogni emozione è quasi repressa, soffocata, di fronte agli avvenimenti che si susseguono incessanti. La ragazza di Ritorno a Seoul sembra essere prigioniera di un destino immutabile, fino a quando il ricongiungimento – seppur estremamente breve – con la madre biologica esplode in un drammatico pianto liberatorio: la donna appare solo in secondo piano, relegata sullo sfondo, mentre l'attenzione dello spettatore si concentra sullo sfogo della protagonista, finalmente libera e “felice”.
Quando, un anno dopo, scopre la verità sul contatto lasciatole dalla madre, non rimane altro che tornare laddove dove tutto ha avuto inizio, a quella melodia suonata dal padre durante uno dei loro incontri, a quella “musica coreana” che tanto l'aveva disorientata e che ora, dopotutto, è diventata a tutti gli effetti parte di lei.
Voto:
8.5
Ritorno a Seoul
Ritorno a Seoul è un film che evidenzia splendidamente le difficoltà a cui va incontro chi ha provato il terribile dolore dell'abbandono. La contenuta e sofferta recitazione dell'attrice Park Ji-Min (qui al suo debutto sul grande schermo) riesce a restituire con precisione l'importante tematica affrontata dall'opera: la continua ricerca del proprio essere, a metà tra il perseguire gli obiettivi prefissati e l'inseguire le proprie origini. L'opera seconda del regista Davy Chou può senza alcun dubbio considerarsi riuscita.
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