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Nope, Recensione – La bestialità dello spettacolo

di Mattia Loiacono

Pubblicato il 2022-08-13

Nope, il terzo film da regista per Jordan Peele, è una discussione sul mondo dello spettacolo a tema sci-fi che convince senza entusiasmare

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Dopo il successo di Scappa – Get Out e Noi, Jordan Peele torna nella sale cinematografiche con Nope, distribuito dalla Universal Pictures. Al suo terzo film, Il regista americano è già considerato da molti come uno dei protagonisti dell’horror contemporaneo e come una delle migliori rivelazioni degli ultimi anni. In cerca della sua consacrazione, Peele decide di mettersi in gioco con un prodotto inaspettato e controverso, destinato a creare rumore ed a spartire i giudizi di spettatori e critica. Tra metacinema e contaminazione di generi, Nope si colloca nella zona grigia di ciò che convince senza entusiasmare, di ciò che tanto vuole e non tutto stringe.

Non siamo soli

Nope racconta la storia di Emerald e OJ, due fratelli che abitano in una zona isolata della California dove, insieme al padre, gestiscono una ranch di famiglia. A causa di una moneta piovuta misteriosamente dal cielo, il genitore dei protagonisti viene a mancare e loro ereditano la proprietà. I due prestano la presenza dei cavalli del ranch ai filmmaker di Hollywood e tra questi c’è Jupe Park, creatore di un parco a tema cowboy.

Convinti che qualcosa stia accadendo sopra le loro teste, Emerald e OJ installano delle telecamere nei paraggi della loro abitazione rivolte verso il cielo nella speranza di riuscire a riprendere qualcosa e poterne sfruttare la spettacolarità a livello economico. Niente è però come sembra ed i due fratelli si ritrovano ad affrontare qualcosa di misterioso e straordinario.

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Questo non è (solo) un horror

Jordan Peele è ormai famoso per la sua capacità di fondere elementi del cinema horror commerciale alle sue spiccate doti autoriali e Nope, in questo senso, rappresenta la sua missione più complessa.

La trama alla base della pellicola non è niente di nuovo e risulta spesso tanto prevedibile quanto lenta, con un ritmo incostante che decide di incalzare solamente in una seconda fase del film. A causa di questo, Nope non scorre rapidamente e le sue due ore e quindici si fanno sentire. Non aiuta la causa neanche la scrittura dei personaggi, la quale risulta essere troppo superficiale e bidimensionale, senza alcuna crescita né profondità, e con delle relazioni che non vengono quasi mai esplorate come si sarebbe potuto e dovuto fare. Parliamo soprattutto dei due protagonisti principali, Emerald e OJ, di cui quasi mai si scruta il rapporto ed il rapporto che essi hanno con il defunto padre.

Diventa sicuramente più interessante parlare invece della contaminazione presente nel terzo film del regista, la quale risulta essere la spina dorsale di un prodotto che è molto più che un semplice horror. In Nope infatti sono ben tre i generi riconoscibili che, come in una gara a staffetta, si scambiano e si interfacciano donandosi un pezzo di sé: sci-fi, western e, naturalmente, horror. Questi tre generi, oltre a creare una combinazione vincente, permettono al film di creare dinamiche politiche ed extra-narrative che vanno a compensare la scarna storia principale con spunti di riflessione riguardo il cinema ed, in generale, il mondo dello spettacolo.

Una brutta bestia

I protagonisti di Nope devono vedersela con una bestia molto più grande di loro, ma i parallelismi non si sprecano ed il vero villain del film diventa la creazione del film stesso. Una volta capita questa dinamica, la trama semplice e scontata che si trova in superficie alla pellicola diventa solo il mezzo con cui il regista prova trasmetterci dei messaggi sulla cultura cinematografica.

Tra riferimenti e comparazioni con antenati del cinema, critiche sociali a generi preclusi alle minoranze ed allo sfruttamento di risorse sul posto di lavoro, il linguaggio metacinematografico di Nope tocca gli argomenti più disparati e ne fa la propria arma principale. La punta dell’iceberg di questo discorso è esplicitata dalla storia della scimmia di nome Gordy (ispirata ad una storia vera), l’unico essere vivente dell’intera pellicola a ribellarsi apertamente e senza mezzi termini al mondo dello spettacolo, al contrario invece di tutti gli umani del film che dimostrano, a qualsiasi costo, un’ossessione irrazionale non solo verso il successo, ma anche verso l’essere guardati.

Per quanto sia incredibilmente interessante e profondo l’argomento, Nope riesce nel suo compito solo parzialmente ed il suo linguaggio risulta essere spesso poco incisivo, non riuscendo a dimostrare fino in fondo il suo pieno potenziale. Difatti, il film apparecchia benissimo il da farsi e dimostra fin da subito quali siano le sue reali intenzioni ed il reale messaggio da trasmettere allo spettatore, ma si perde lungo la strada e non riesce a tirare fuori tutto ciò che si era ripromesso di fare.

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Come si fa a non guardare?

Questa è sicuramente la domanda che si pongono i protagonisti ogni volta che sono tentati dal porre lo sguardo sulla maestosa creatura al di sopra di loro, ma questa è la stessa domanda che ci siamo posti noi mentre guardavamo Nope: come si fa a non guardare?

Questo perché il terzo film di Jordan Peele, dal punto di vista visivo, è di una bellezza rara e dimostra ancora una volta la maestria di un regista che, nonostante possa crescere ancora molto, non è più una sorpresa del cinema contemporaneo, ma una conferma. Tra delle scenografie ad ampissimo respiro, dei piani sequenza di solo cielo e una fotografia in grado di adattarsi a tutte le contaminazioni di genere, Nope fa sentire lo spettatore come un granello di sabbia su una spiaggia e rende lo spazio circostante imponente su chi guarda.

Del cast, seppur il protagonista sia ancora una volta interpretato da Daniel Kaluuya, a spiccare è soprattutto l’interpretazione di Keke Palmer nei panni di Emerald, capace di prendersi la scena con forza e vivacità. Di ottima fattura anche la CGI, in particolare nella creazione della misteriosa bestia volante che viaggia sopra la testa dei personaggi.

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Nope, terzo film da regista di Jordan Peele, è un film dalla rara bellezza, ma dal comune svolgimento, che punta ad essere più un'ottima esperienza che un ottimo film. La trama principale non è niente di nuovo e lo svolgimento pecca di superficialità. Interessante invece la contaminazione di generi a scopo politico ed extra-narrativo. Il piatto forte del film, ovvero lo sguardo metacinematografico, risulta riuscito solo parzialmente e non incide quanto avrebbe potuto.

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