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Bussano alla Porta, Recensione – Il dilemma della fiducia

di Emidio Sciamanna

Pubblicato il 2023-02-03

M. Night Shyamalan torna nuovamente dietro la macchina da presa con Bussano alla porta disponibile nelle sale a partire dal 2 febbraio 2023.

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Dopo l’uscita di Old nel 2021, M. Night Shyamalan torna nuovamente dietro la macchina da presa con Bussano alla porta, distribuito da Universal Pictures e disponibile nelle sale italiane a partire dal 2 febbraio 2023.

Benché si tratti di un adattamento cinematografico – dal romanzo horror La casa alla fine del mondo di Paul G. Tremblay – il regista dà vita a un thriller psicologico dai forti connotati autoriali, che, nascosto dietro l’ombra del sottogenere apocalittico, indaga i complessi rapporti di fiducia all’interno della stratificata società contemporanea. A metà tra l’home invasion e il catastrofico, giganteggia (letteralmente) la colossale figura di Dave Bautista, la cui interpretazione contribuisce ad alimentare una suspense che attraversa ininterrottamente l’intera vicenda.

Bussano alla porta

Apocalisse o inganno?

La storia ha inizio in una baita sperduta nei pressi di un lago, durante una luminosa giornata primaverile. La piccola Wen, figlia di una coppia omosessuale, è intenta a catturare grilli nell’erba quando, improvvisamente, è avvicinata dall’imponente e gentile Leonard (Bautista), che afferma di dover portare a termine un compito estremamente arduo e importante. Dopo aver notato altre tre persone pesantemente armate, la bambina fugge terrorizzata, nascondendosi in casa e allertando i genitori Andrew (Ben Aldridge) ed Eric (Jonathan Groff), i quali provvedono a sbarrare immediatamente ogni entrata.

Redmond (Rupert Grint), Adrianne (Abby Quinn) e Sabrina (Nikki Amuka-Bird), capitanati da Leonard, riescono a fare irruzione nella baita, immobilizzando i tre ignari protagonisti: sembra l’inizio di un qualsiasi “home invasion”, invece Shyamalan ribalta completamente i cliché di genere, trasformando in vittime tutti i personaggi della vicenda. Scopriamo che i quattro sconosciuti sono tormentati da terribili incubi premonitori e che soltanto il sacrificio di uno dei tre ostaggi potrà scongiurare l’imminente fine del mondo.

A questo punto l’amo è già stato lanciato. L’apocalisse incombe davvero al di fuori della baita oppure si tratta solo di un delirio collettivo? Gli intrusi sono veri e propri emissari divini o deliranti religiosi accecati dall’omofobia? Bussano alla porta è un’opera che gioca apertamente con lo spettatore, seducendolo grazie a una tensione crescente e invitandolo ad attendere fino all’ultimo una risoluzione finale che potrebbe addirittura non esserci.

Bussano alla porta

Bussano alla porta, un dramma chiuso

La mano di Shyamalan risulta evidente in ogni frammento del film, in particolare nel modo in cui viene costruita la narrazione: se la prima parte può apparire a tratti schematica e lineare, la seconda metà di Bussano alla porta è dettata da un ritmo ancor più incessante e claustrofobico, che riesce a respirare liberamente solo attraverso l’inserimento di rapidi flashback. L’atmosfera chiusa e soffocante rimanda al Kammerspiel tedesco degli anni 20, con una regia che accentua volontariamente l’espressività dei volti e insiste sui primissimi piani dei personaggi, lasciando continuamente trasparire paura e rassegnazione, dolore e incredulità.

Le interpretazioni di tutto il cast sono coerenti e per nulla stereotipate, eppure a emergere è proprio la coinvolgente prova recitativa di Bautista, che riesce a esprimere al meglio il dramma interiore che lo affligge, pur mantenendo una pacatezza estremamente vivida nei confronti degli altri, in netto contrasto con la sua monumentale corporatura.

I personaggi si muovono in un luogo opprimente, soggiogato dalle forze della natura – i richiami ad alcuni elementi de La Casa di Raimi sono piuttosto evidenti – e da costanti riferimenti biblici, che accompagnano in sottofondo lo sviluppo della struttura narrativa fino alla sua (fin troppo) didascalica conclusione. In Bussano alla Porta gli intrusi incarnano appieno le figure dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, portatori loro malgrado di morte e disperazione, ma che in realtà sono solo semplici pedine appartenenti a un disegno ben preciso.

L’ampio e rigoglioso bosco esterno contrasta con il fioco chiarore della baita, il cui interno è puntualmente cadenzato dalla progressiva evoluzione dei raggi solari, colti splendidamente dalla fotografia di Jarin Blaschke – stretto collaboratore di Robert Eggers in film come The Witch e The Lighthouse –. Si può dire che la luce rappresenti quasi un personaggio a sé stante, capace di sentenziare, di condurre i protagonisti verso il loro tragico e immutabile destino, scandendo senza pietà l’incombente scorrere del tempo che, inevitabilmente, conduce alla morte.

Bussano alla porta

Fidarsi è bene

Al di là della minacciosa apocalisse attorno alla quale si costruisce l’intera vicenda, l’opera di Shyamalan sembra nascondere un altro significato, decisamente meno scontato e superficiale. Ciò che emerge ad una riflessione più approfondita è la difficoltà di fidarsi del prossimo, all’interno di un mondo tragicamente dominato dalla discriminazione e dai facili perbenismi, in cui la diffidenza può essere la chiave per sopravvivere, per poter superare indenni le insormontabili barriere sociali che ogni giorno affliggono le minoranze.

La fantascienza apocalittica di Bussano alla porta è in fondo un semplice pretesto per raccontare tutto questo, per evidenziare come gli orribili spettri dell’emarginazione siano in realtà insiti all’interno di ognuno di noi; mentre il timore di sentirsi esclusi, non accettati, può davvero portare a traumi irreparabili, capaci di segnare permanentemente le nostre effimere, fragili esistenze.

7.5

Bussano alla porta è un film che ripropone l'estetica e l'autorialità di M. Night Shyamalan in ogni suo più piccolo e insignificante dettaglio. Le ottime interpretazioni dei protagonisti accompagnano una narrazione che tiene con il fiato sospeso per l'intera durata della pellicola, invitando lo spettatore ad attendere fino all'ultimo per la tanto attesa risoluzione finale. Forse l'eccessivo didascalismo delle ultime sequenze rovina in parte una conclusione che poteva essere decisamente più libera e lasciata all'interpretazione. In ogni caso, inutile dirlo: una regia di questo tipo vale sempre il prezzo del biglietto.

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