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Nagisa, Recensione – L’horror psicologico giapponese

di Emidio Sciamanna

Pubblicato il 2022-12-06

Nagisa è l’interessante opera d’esordio del regista giapponese Kogahara Takeshi, presentata in concorso al 40esimo Torino Film Festival.

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Nagisa è l’interessante opera d’esordio del regista giapponese Kogahara Takeshi, presentata in concorso alla quarantesima edizione del Torino Film Festival per la categoria Lungometraggi. Dopo aver ricevuto parecchi consensi in seguito alle prime proiezioni, nella giornata conclusiva dell’ormai apprezzata e consolidata kermesse è stato premiato dalla giuria con una Menzione Speciale.

Nagisa può essere interpretato come un complesso e stratificato tentativo di rielaborare un legame, di ridefinire quel sottile filamento che collega il corpo di chi sopravvive e il ricordo, sempre più evanescente, di chi non c’è più. Il mondo che viene rappresentato è dunque frutto di un’offuscata condizione mentale, un insieme di indistinte rievocazioni partorite dalla mente di un ragazzo fortemente distaccato dalla realtà.

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Nagisa respira nella memoria

Il protagonista è Fuminao, un ragazzo di Tokyo tormentato dal senso di colpa per la morte della sorella minore Nagisa, deceduta tre anni prima in un incidente stradale mentre andava a trovare il fratello in autobus. Una notte il ragazzo accompagna l’amico Yuki a visitare un tunnel che, secondo alcune credenze popolari, pare essere infestato dai fantasmi.

In questo misterioso e tetro luogo si troverà ad affrontare nuovamente il suo passato, le sue origini, fino a rivivere nella propria mente l’intenso rapporto con la sorella scomparsa. Il tunnel può essere interpretato come un ponte tra l’aldilà e il mondo terreno, un percorso che permette al protagonista di espiare le colpe che inutilmente si attribuisce.

Secondo quanto affermato dallo stesso Kogahara nella conferenza stampa di presentazione di Nagisa:

Il tunnel può anche essere visto come una sorta di ventre materno, dentro al quale solitamente inizia una nuova vita e dove il protagonista ripercorre alcune fasi della sue esistenza. Un altro elemento estremamente rilevante è l’utilizzo dei colori. Ho cercato di dare maggior importanza al rosso e al blu in alcuni momenti chiave della storia: il primo rappresenta la rabbia, mentre il secondo la calma e la spensieratezza infantile.

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La monotonia di un’esistenza vuota

L’apatia del protagonista e l’alienazione che ne condiziona l’esistenza nascono dal forte trauma scaturito dalla perdita di una persona amata. Per questo motivo la vita del giovane è costantemente scandita da movimenti meccanici e continui silenzi, raffigurati attraverso l’utilizzo di reiterate e interminabili inquadrature fisse.

La storia di Nagisa è frammentata, per nulla lineare, come se ogni brandello di memoria riaffiorasse spontaneamente quando Fuminao riassapora determinate sensazioni fisiche o emotive. Questo rende il film è un vero e proprio labirinto senza vie d’uscita, un rompicapo in cui, talvolta, risulta difficile comprendere il senso di alcuni avvenimenti.

Al termine di questo enigmatico viaggio esistenziale sono molte le domande che sorgono, suscitando nella mente del protagonista più dubbi che risposte. «Quindi i fantasmi esistono davvero?» chiede esitante il ragazzo ad un poliziotto incontrato casualmente fuori dal tunnel. La risposta dell’uomo arriverà solo dopo un lungo e ostentato silenzio: «Il fantasma sei tu».

Sono coloro che sono rimasti ancorati al passato, incapaci di proseguire una vita normale, come la donna che vaga per strada alla ricerca del figlio scomparso, a rappresentare i veri spettri della società.

8.5

Si tratta di un'opera prima estremamente affascinante e contemplativa, sia dal punto di vista narrativo che da quello visivo. L'utilizzo di continue inquadrature fisse e reiterati primi piani può leggermente disorientare, in particolar modo nella seconda metà del film, ma è anche una trovata interessante per osservare il mondo attraverso gli occhi del protagonista. Si può senza alcun dubbio definire un esordio con i fiocchi.

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