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Godland, Recensione – L’Islanda tra carne e spiritualità

di Emidio Sciamanna

Pubblicato il 2023-01-10

Presentato al quarantesimo Torino Film Festival e uscito nelle sale il 5 gennaio 2023, Godland è il nuovo film del regista islandese Hlynur Pálmason.

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Godland è il nuovo film di Hlynur Pálmason, regista islandese già autore di A White, White Day, con il quale vinse la 37esima edizione del Torino Film Festival e ottenne il Rise Star Award al Festival di Cannes del 2019. Uscito in sala il 5 gennaio 2023, la pellicola racconta il viaggio di un prete danese (Elliott Crosset Hove) nelle aspre ed inospitali terre islandesi, alla disperata ricerca della propria fede attraverso un costante contatto con la natura, gli animali e le rigide persone del luogo. Da sottolineare anche l’importante prova recitativa di Ingvar Eggert Sigurðsson, uno degli attori più noti del cinema islandese, che qui svolge un brillante lavoro di raccordo a fianco del protagonista.

Godland è stato presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes e, successivamente, Fuori Concorso al quarantesimo Torino Film Festival.

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Fotografie di un tempo passato

La storia ha inizio quando il fotografo e prete luterano Lucas viene inviato in Islanda con lo scopo di supervisionare la costruzione di una nuova parrocchia, sotto la guida dell’arcigno Ragnar. Ben consapevole dell’importanza della missione, decide di abbandonare momentaneamente la natia Danimarca per compiere un viaggio che metterà a dura prova la sua fede, la quale correrà il rischio di essere intaccata e corrosa dall’impervia e violenta terra nordica.

Nella mente di Pálmason il film prende vita a partire dal ritrovamento di sette fotografie risalenti alla fine del diciannovesimo secolo. Il legame che coinvolge l’essenza di una realtà passata e l’immagine puramente cinematografica passa attraverso una resa visiva segnata dall’utilizzo di un 4:3 estremamente claustrofobico, capace di restituire l’immobilità imperiosa della natura e la fragile silhouette degli uomini al suo cospetto. In Godland ogni elemento che compare sullo schermo assume una valenza fondamentale, pregna di un’evidente simbolismo: la natura è creatrice, portatrice di vita e morte, e la fede del singolo individuo deve fare i conti con un mondo ben diverso da quello appariscente e impostato della Chiesa.

Lo sguardo del regista si muove lentamente e a 360 gradi sul territorio circostante, senza perdere neanche il più trascurabile e insignificante dettaglio; per questo l’atmosfera che si respira è pesante, opprimente, compressa dai ristretti margini dell’inquadratura e dalla soffocante solitudine che attanaglia il protagonista. Una solitudine peraltro evidenziata dalla sottile ma insormontabile barriera linguistica – quella che intercorre tra il danese e un’islandese rurale – che lo separa dalle persone del villaggio e dallo stesso Ragnar, sua guida fisica e spirituale, con il quale riesce ad instaurare una relazione esclusivamente conflittuale.

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Godland, tra natura e spiritualità

La struttura narrativa si avvale di una sfaccettata dicotomia, che abbraccia diversi aspetti dell’esistenza. A partire dall’incompatibile e conflittuale rapporto tra uomo e ambiente, fino ad arrivare ad una tanto insistita quanto consapevole indagine sul confronto tra religione e natura: Godland è davvero la Terra di Dio, un luogo in cui la fede umana viene verificata o vanificata; una landa desolata nella quale la natura stessa è sia componente divina che dominatrice assoluta, un crudele binomio che spinge sull’orlo del baratro chiunque non possegga la capacità di fidarsi del prossimo, di comprendersi reciprocamente.

Uno scontro con la terra stessa porta inevitabilmente a una sconfitta, in particolar modo quando la lotta è intrapresa dal singolo e non dal gruppo. A poco servono i tentativi dei comprimari di instaurare un rapporto, per il protagonista l’incapacità di vivere all’interno di una comunità si trasforma ben presto in una condanna, una fuga verso il tragico destino che lo attende ineluttabile.

La carne e il corpo altro non sono che mere componenti effimere dell’esistenza, simboli della temporaneità che scandisce rigidamente la nostra vita e che, con il passare del tempo, marciscono, si decompongono, fino a diventare – o a ritornare – un tutt’uno con la natura del Godland. La gelida immagine fotografica, così come quella filmica, può prolungare il ricordo della nostra esperienza terrena e può condurlo attraverso lo scorrere di intere generazioni; eppure soltanto i complessi rapporti umani, quelli realmente tangibili e concreti, possono impedire alla nostra fragile e inconsistente memoria di raggiungere una morte completa, conseguenza inesorabile di una scomparsa spirituale.

8

Godland è un film che riflette sulla molteplicità della nostra esperienza sensibile e sulle sfaccettature che caratterizzano l'esistenza umana. Il binomio religione e natura conduce la figura umana alla ricerca di una fede che in qualche modo sembra essere labile, precaria, frutto di una vita apatica priva di emozioni concrete. La durata leggermente eccessiva della pellicola è ben compensata da una splendida resa visiva e da una fotografia sopraffina, in grado di accompagnare lo spettatore attraverso i meandri dell'aspro e impetuoso panorama islandese. Anche se non ai livelli del suo lavoro precedente, quello di Pálmason è un ritorno alla regia da non perdere, in particolar modo da chi apprezza le atmosfere contemplative.

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