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La mia vita con John F. Donovan – Il Divismo secondo Xavier Dolan

di Nicole Colleoni

Pubblicato il 2021-03-23

La nascita dell’industria cinematografica hollywoodiana e il conseguente sviluppo dello star system hanno significato l’emergere del fenomeno del divismo, tema centrale del film La mia vita con John F. Donovan (in inglese The Death and Life of John F. Donovan) diretto nel 2018 da Xavier Dolan.LA TRAMACHE COS’È IL DIVISMODUE LATI DI UNA STESSA MEDAGLIARUPERT …

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La nascita dell’industria cinematografica hollywoodiana e il conseguente sviluppo dello star system hanno significato l’emergere del fenomeno del divismo, tema centrale del film La mia vita con John F. Donovan (in inglese The Death and Life of John F. Donovan) diretto nel 2018 da Xavier Dolan.

LA TRAMA

Rupert Turner (Jacob Tremblay da piccolo, Ben Schnetzer da adulto) è un giovane attore e autore di un libro dove ricorda, a distanza di anni, la corrispondenza epistolare intrattenuta in giovane età con la star del cinema John F. Donovan (Kit Harington, celebre protagonista della serie Il trono di spade), ormai deceduto a seguito di una serie di scandali che lo hanno coinvolto. Il ragazzo rievoca, attraverso le lettere, i tormenti e le difficoltà che i due hanno dovuto affrontare, in due percorsi di vita distanti ma paralleli, che ruotano entrambi attorno al problema del divismo.

CHE COS’È IL DIVISMO

La Prima Guerra Mondiale ha significato una battuta d’arresto per la produzione cinematografica francese, fino ad allora fulcro principale dell’attività filmica, ma un periodo di crescita straordinaria per il cinema degli Stati Uniti che, avvantaggiati, iniziano a produrre ed esportare i propri prodotti in tutto il mondo.

L’ascesa di Hollywood coincide con la nascita e lo sviluppo dello Studio System, una forma di organizzazione del lavoro produttivo e di ottimizzazione dei profitti. Parallelamente, si assiste anche alla nascita dello Star System: i produttori si accorgono che una formula vincente per attirare un maggior numero di persone nelle sale cinematografiche è proprio il divismo, per il quale sono gli attori stessi a influire sul box office, spesso in modo straordinario.

Divismo, ad oggi, sta ad indicare due aspetti opposti ma complementari: un’ammirazione fanatica per i divi dello spettacolo da un lato, l’esibizionismo mediatico e la promozione pubblicitaria da parte dei divi stessi dall’altro. Di queste due sfumature, in La mia vita con John F. Donovan Dolan è riuscito a tracciarne un ritratto eloquente.

DUE LATI DI UNA STESSA MEDAGLIA

Opposte ma complementari sono anche le figure di Rupert e Donovan, protagonisti assoluti de La mia vita con John F. Donovan, un film che stimola a riflettere sui limiti che, come in ogni cosa, è necessario imporre.

Fino a che punto ci si può spingere nell’idolatrare un divo dello spettacolo? Fino a che punto è giusto prendere una star del cinema e farne una fonte di ispirazione?
E poi: si deve rinunciare alla propria identità in nome del successo? Si può sacrificare la propria vita privata pur di rivestire il ruolo che gli altri richiedono e desiderano? Fino a che punto nascondere sè stessi agli occhi del mondo?
Ma ancora: possiamo apprezzare e fruire del lavoro di un artista al di là della sua persona, della sua vita privata, di ciò che professa e delle azioni che compie? Queste, alcune delle domande poste da Dolan attraverso la pellicola.

“Non l’amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia, datemi la verità.”

RUPERT E IL DIVISMO SMODATO

L’ammirazione che Rupert nutre per John F. Donovan comincia molto presto, all’età di otto anni: seduto davanti alla televisione per assistere alla serie di cui il suo idolo è protagonista, lo vediamo agitarsi, emozionarsi, urlare spasmodicamente. 

Che cosa mi sono perso? Svelta, voglio vedere! […] Arriva la sigla, eccola! O mio dio, è un nuovo potere, quello è un nuovo potere! È una cosa stupenda, una cosa stupenda! O mio dio, o mio dio, o mio dio, porca miseria! […] Sono nato per questo momento, sono uscito dalla tua pancia solo per questo!

Forse complice un padre che non vede mai e una madre (la portentosa Natalie Portman) un po’ troppo assente e coinvolta nella propria carriera fallimentare, a cui si aggiunge il trasferimento in un altro continente e l’abbandono di tutti i suoi amici, Rupert si trasforma in un bambino solitario che trova conforto nelle parole e nell’attenzione che l’idolatrato Donovan gli rivolge, facendolo sentire un complice privilegiato delle sue avventure.

Ma se nell’arte in tutte le sue forme è possibile trovare un rifugio e, perché no, sostegno, ben diverso è il discorso quando si parla di un’altra persona: siamo esseri umani, e in quanto tali imperfetti, incompleti e incompiuti. Ben presto, anche Rupert si renderà conto della fragilità del legame che lo lega all’attore e dell’instabilità del supporto che ha rappresentato fin da piccolo per lui. Da questa epifania, però, sarà proprio lui a trarne una nota positiva, in un percorso di crescita che lo porterà alla completa realizzazione di sè stesso.

JOHN E IL DIVISMO INGOMBRANTE

Fin dall’inizio della storia John ci appare come un ragazzo tormentato, profondamente turbato. Dentro i suoi occhi si possono leggere con chiarezza le angosce che lo affliggono: un padre, anche in questo caso, inesistente, un rapporto difficile con la madre, l’incapacità nell’abbandonarsi al vero sé e nel comprendere la propria sessualità.

John è vittima del sistema che ha contribuito al suo successo e alla sua apparente felicità, che è costretto a manifestare sempre e dovunque pur di mantenere intatta la figura del grande divo, buono e gentile, che tutti si aspettano di vedere in lui. È il bersaglio di una fama tossica e nociva, che lo intrappola in una gabbia che lo allontana non solo da sè stesso, ma da ogni possibilità di instaurare un rapporto reale e veritiero con le altre persone.

L’unica figura in cui sembra aver trovato un amico è proprio Rupert. Ma è un’amicizia, da parte sua, forse più platonica che consapevole. Quasi come se il bambino fosse un diario personale, più che una corrispondenza epistolare, un modo per John di fingere che qualcuno lo possa realmente e sinceramente ascoltare, senza trovarsi obbligato a prestare attenzione a quello che gli altri hanno da dire in risposta.

Un confronto, quello con gli altri, che John sembra evitare, incapace di sopportarlo e di affrontarlo, chiudendosi sempre di più in una bolla di isolamento che lo porterà ad una tragica fine.

I DUBBI

In La mia vita con John F. Donovan si ritrovano molti dei punti fermi del cinema di Xavier Dolan, primo tra tutti la figura materna e il confronto con essa, in questo caso rappresentata da ben tre donne: la madre, l’insegnante e la manager. Si aggiungono poi l’assenza fin troppo presente della figura paterna e la tematica della sessualità che caratterizzano da sempre i lavori dell’autore.

Non ho ritrovato, però, la stessa spontaneità e leggerezza che ho percepito nelle altre opere del regista, capace di raccontare con l’innocenza della gioventù anche i sentimenti più profondi e tormentati. Il risultato è una pellicola fragile, apparentemente incompleta (la figura della madre ben poco delineata, i problemi di John con le medicine solo accennati, un bambino di dieci anni che ne dimostra molti di più) e spesso sconnessa, che avrebbe potuto delineare con maggior chiarezza una tematica così interessante.

Il film di Xavier Dolan è disponibile in streaming su SkyGo, altrimenti per l’acquisto su Chili e RakutenTv.

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