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Leonora Addio – Il viaggio del fu Pirandello

di Christian Sensi

Pubblicato il 2022-02-17

Il grottesco viaggio delle ceneri di Luigi Pirandello.

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La morte è una delle poche certezze della vita e un’esperienza che espletano tutti gli essere umani. Non è un caso che fin dall’alba dei tempi, ancor prima d’inventare la scrittura, tutte le civiltà umane abbiano assegnato diversi significati a tale evento, costruendoci attorno complessi quanto variegati ritualismi e intere culture.

Quello che accomuna trasversalmente popoli tanto diversi fra loro, è la sacralità con il quale viene trattato tale evento. Leonora Addio, nuovo film di Paolo Taviani (per la prima volta girato senza l’inseparabile fratello Vittorio, scomparso nel 2018) vincitore del premio FIPRESCI al Festival di Berlino, ruota attorno proprio a questo tema, risolvendosi nel racconto del reale grottesco viaggio delle ceneri di Luigi Pirandello.

Non si tratta della prima iterazione di Taviani con uno dei più importanti letterati della storia, che insieme al fratello aveva già diretto Kaos (1984) e Tu ridi (1998), entrambi adattamenti di alcune novelle contenute in Novelle per un anno.

Questa volta l’operazione è però decisamente più sperimentale. Si colloca infatti a metà fra l’omaggio e il docufilm, grazie all’ausilio di preziosi documenti audiovisivi. Il tutto si conclude con la trasposizione de Il Chiodo, l’ultima novella scritta da Pirandello venti giorni prima di morire.

Il fu Luigi Pirandello

Leonora Addio si apre con riprese d’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura allo scrittore, drammaturgo e poeta siciliano, evento commentato dalla sua stessa voce narrante. Quest’ultima accompagnerà lo spettatore anche nei suoi ultimi istanti di vita sul letto di morte, in una riflessione sullo scorrere inesorabile del tempo.

Durante l’ultimo momento di cuore pulsante, il punto di vista interno a Pirandello è esaltato e paventato da una splendida trovata scenografica. Una volta morto, non resta che seguire le semplici indicazioni da lui stesso redatte nel 1911: essere cremato e murare l’urna contenente le ceneri nelle campagne di Girgenti, suo paese nativo.

Qui inizia il roccambolesco viaggio delle spoglie arse da Roma fino ad Agrigento, che si rivelerà ricco d’imprevisti e situazioni grottesche al limite del surreale.

Eredità contesa

La sceneggiatura, priva di un protagonista e punti di vista definiti, se non quello delle ceneri stesse, e in minima parte dell’anonimo impiegato del comune di Agrigento (interpretato fa Fabrizio Ferracane) delegato ad accompagnare l’urna da Roma fino in Sicilia, vive in funzione della messa in scena del rapporto e reazioni della società con la morte di un personaggio illustre, in una decostruzione di quella sacralità sopracitata.
Da un lato il popolo, che pur nella reverenza e riconoscimento dell’autorevolezza, riesce financo a riderci sopra.

Forse a causa del livellamento che la morte inevitabilmente realizza, accorciando le distanze e il non raro senso d’inadeguatezza. Dall’altra le istituzioni, con i diversi settori del potere intenti a contendersi l’eredità culturale del malcapitato di turno. In questo caso specifico il fascismo prima e il clero poi, poteri con i quali nel corso della sua vita Pirandello ebbe non poche frizioni, pur non ponendosi mai in opposizione militante, ma addirittura aderendo apertamente all’avvento del primo, tuttavia con motivazioni culturali ambigue e oggetto di dibattito ancora oggi.

La cultura del rispetto dei morti, tipica della dottrina cristiana, ma largamente condivisa anche dal mondo laico, viene qui scardinata. Le ceneri di Pirandello vengono sbalzate da una parte all’altra secondo ritmi dettati delle contingenze politiche, derise, contese e alla mercè dell’istintualità umana. Il tema dell’istintualità è poi ripreso dall’adattamento de Il Chiodo nel finale, novella che Pirandello scrisse su impulso di una notizia di cronaca nera a Brooklyn.

Apposta

A dispetto di quanto si possa pensare, nella novella non è presente nessuna Leonora. Il titolo della pellicola fa riferimento all’omonimo racconto scritto nel 1910, che nei piani originali sarebbe dovuto essere presente parzialmente in una scena.

Protagonista della vicenda è Bastanieddu (Matteo Pittiruti), un ragazzino siciliano emigrato negli Stati Uniti, che si ritrova a ragione accusato d’aver ucciso una ragazzina nel mezzo di un giocoso litigio con una sua amica con un chiodo. Le autorità e i familiari si concentrano su un singolo dettaglio semantico emerso durante l’interrogatorio, il termine “apposta”.
Il chiodo era lì “apposta” e le due ragazzine stavano litigando “apposta”.

L’attenzione a questo singolo elemento, volta da un lato a scagionare il ragazzo, e dall’altra rasserenare gli animi delle persone. Questo tipo d’operazione è perpetuata costantemente dalla società, che tenta di rimuovere e censurare i più bassi istinti umani, salvo poi proporli spettacolarizzati ed edulcorati alle masse, nel tentativo di convincerci che siamo giunti ad un alto grado d’emancipazione dalle naturali pulsioni, che Freud e i suoi discepoli chiamerebbero l’es.

Paolo Taviani riesce magistralmente a mettere in scena questa riflessione sul rapporto con morte, immutato dall’epoca pirandelliana ad oggi, senza scadere in facili moralismi e fazionismi, fornendo molteplici chiavi di lettura e diversi livelli di stratificazione. Inciampa solamente in un ritmo talvolta troppo cadenzato in certi frangenti, ma nulla che sia in grado di obnubilare le ottime qualità della pellicola.

Chi eravamo

Leonora Addio vuole anche essere testimonianza di un periodo storico, quello dell’arrivo degli Alleati nella penisola e il primissimo dopoguerra. La ricostruzione storica dagli echi neorealisti, è attuata sia attraverso fonti audiovisive che scelte nella finzione scenica. Per quanto concerne il primo mezzo, l’intera vicenda è inframmezzata da reperti storici e scene preso di peso da film di grandi cineasti del cinema neorealista e non.

Fra queste spiccano pellicole del calibro di Paisà di Rossellini, oltre che Kaos degli stessi fratelli Taviani. La scelta si rivela azzeccata, e riesce a fornire le giuste informazioni sul contesto storico. È però da ravvisare un leggero squilibrio nella loro distribuzione, concentrati prevalentemente nelle prime battute.

Anche la ricostruzione scenica è stata progettata con minuziosità e dovizia di particolari, come i Taviani ci hanno sempre abituato. Il lavoro sul linguaggio è encomiabile, che oltre alle classiche inflessioni dialettali, emerge anche l’uso di un inglese maccheronico. Coraggiosa anche la scelta di proporre Il Chiodo interamente in inglese con i sottotitoli.

A volte la recitazione di alcun attori è un po’ incerta, ma per struttura stessa dell’opera quest’elemento non ha un impatto rilevante sull’economia generale.

Uno, nessuno, centomila tecnicismi

La regia di Taviani è dinamica e mutevole, facendo ampio sfoggio di tecnicismi perfettamente padroneggiati, oltre che presentare delle trovate registiche ricercate e suggestive. L’uso sapiente di tutti i tipi d’inquadrature, dai campi larghi ai primi piani, sottolineano efficacemente l’intercedere della vicenda.

Particolarmente azzeccata si rivela la scelta di utilizzare il bianco e nero per tutto il viaggio delle ceneri. Questa non si dimostra una mera nota stilistica, assumendo invece una precisa funzione narrativa e concettuale. Il film può vantare una colonna sonora firmata da Nicola Piovani, sinonimo di qualità che anche in questo caso non ha tradito le aspettative.

Menzione d’onore per l’uso intelligente dell’autoreferenzialità in un preciso frangente. Questa riesce a collegare Kaos, il loro primo film tratto da un’opera di Pirandello, con Il Chiodo, quasi a chiudere un’ideale trilogia pirandelliana, iniziata insieme al fratello, a cui Eleonora Addio è dedicato e conclusa in solitaria da Paolo Taviani.

8.5

Leonora Addio è senza ombra di dubbio un film riuscito quanto coraggioso. Una raffinata riflessione sul rapporto con la morte e la natura umana, in grado al contempo di cogliere mutamenti sociali derivanti da un evento gargantuesco come la guerra, e omaggiare senza cadere in facili proselitismi uno dei più importanti scrittori che l’Italia può vantare non solo di aver dato i natali, ma nutrito anche la sua stessa poetica. L’ineccepibile maestria dietro la macchina da presa, è coadiuvata da guizzi creativi e scelte stilistiche che assumono una precisa funzione all’interno della narrazione. L’ausilio dell’uso di fonti storiche audiovisive, riesce a fornire allo spettatore il giusto contesto storico. Gli unici nei sono da ricercarsi in una sceneggiatura non sempre dotata della giusta verve e da qualche squilibrio interno.

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